Fa ancora discutere il mondo Gengis Khan. Condottiero e conquistatore dei più dibattuti di ogni tempo, mito e carnefice spietato.
Ricorda vagamente il pezzo su Cassius Hueffer da L’Antologia di Spoon River : “Hanno inciso sulla mia tomba le parole : la sua vita fu generosa e gli elementi così mescolati in lui che la natura avrebbe potuto levarsi a dire al mondo intero, questi fu un uomo. Coloro che mi conobbero ridono, a leggere questa vuota retorica. Il mio epitaffio avrebbe dovuto suonare : la vita non fu generosa con lui, e gli elementi così mescolati in lui che egli mosse guerra alla vita e vi rimase ucciso. ….”
Gengis Khan fu generoso, talvolta. Si comportò da uomo saggio e illuminato, talvolta. Mosse anche guerra alla vita, spesso. Alla vita altrui e forse anche alla sua, sprezzante del pericolo e di selvaggia durezza. La storia ci ha consegnato la sua ferocia, la ferocia con la quale creò un impero più grande di quello romano, la ferocia con la quale avanzava nei territori da sottomettere lasciandosi alle spalle milioni di morti. Ci ha presentato il Gengis Khan che fece strage soprattutto nelle città (ma solo fino a quando non capì che era suo interesse preservarle), simbolo di una vita che i Mongoli disprezzavano, e quello dei gesti di una violenza orribile ed efferata.
Ma è rimasta anche l’aura romantica del Gengis Khan innamorato della moglie Borte, “padre adottivo” di bambini abbandonati, accorto nell’affidare l’amministrazione pubblica agli uomini più validi di ogni campo, lodevole nella politica delle comunicazioni e dei trasporti, consapevole dell’importanza della cultura tanto da circondarsi dei letterati e degli artisti dei paesi sottomessi. Ed è rimasto anche l’esempio di tolleranza religiosa con la quale cercò di connotare l’impero : templi buddisti, chiese cristiane, moschee convivevano.
Ma se la storia di ferocia e tolleranza di Gengis Khan può ancora appassionare gli studiosi, io mi chiedo se possa insegnare qualcosa. Se le devastazioni, le invasioni, la furia di dominio, la brutalità possono fondersi con lo spirito avveduto di chi sa fino a che punto spingere poi l’orrore del potere o meglio a quale punto inserire aspetti positivi, aggreganti, pacificatori vale la pena di pensare che ci sia una sorta di equilibrio alla quale ad un certo punto occorre giungere per mantenere un impero…
Gengis Khan arrivò a fondare, allontanandosi molto dalle tradizioni nomadi e dalle origini del suo pensiero, Karakorum, la prima città mongola. Ma non la vide mai finita, morì prima. E non fu molto rimpianto. Dunque all’equilibrio forse provò a tendere ma non arrivò.
E’ una figura curiosa, Gengis Khan. Una brutta e sanguinosa pagina del passato, ma anche un monito, forse…
Esiste un punto dove la ferocia deve lasciare il posto alla cultura, alla tolleranza, all’efficienza del sistema. Più che mai attuale.
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