Irene Spagnuolo

Vai Girardengo...grande campione!

In attesa della partenza del Giro d’Italia 2010 a Novara fervono già i preparativi per accogliere la 5° tappa. I corridori arriveranno a Novara mercoledì 12 e ripartiranno giovedì 13 maggio alla volta di Novi Ligure con naturale omaggio ai grandi Girardengo e Coppi (nel cinquantesimo della sua morte).

Mentre si gira “Il campione e il bandito”, fiction tv tratta dal libro di Marco Ventura, dove Beppe Fiorello interpreta il bandito pericolo pubblico numero uno, il Robin Hood piemontese Sante Pollastri e Simone Gandolfo veste i panni di Costante Girardengo, mi torna in mente la splendida canzone di Francesco De Gregori “Il bandito e il campione” e ripenso ai racconti della mia famiglia.

Mio nonno e suo fratello Eugenio, noto alla parentela come zio ‘Genio, nati e cresciuti nella stessa terra degli amici Sante Pollastri e Costante Girardengo mi hanno raccontato quel pezzo di storia che fu cronaca e sport di eccezionale rilievo, tanto da diventare mito e ispirare musica, letteratura, film. Ecco, ricordo soprattutto l’emozione del nonno e di zio ‘Genio. Perché loro avevano seguito e applaudito le pedalate di Girardengo come avevano respirato la vita un po’ speciale di Sante Pollastri che chiamavano, come forse tutti nell’alessandrino, Pollastro.

Tra leggenda e realtà la vicenda di Sante Pollastri, anarchico, ladro galantuomo, ragazzo incappato in una sorte convulsa e criminale, finisce con l’arresto proprio al traguardo della corsa di Costante Girardengo. Nel cuore del bandito la voglia di aspettare all’arrivo l’amico campione è più forte del rischio e della paura…

Forse non si possono e non si devono celebrare le gesta scellerate di Sante Pollastri ma è difficile cancellare l’immagine un po’ romantica, romanzesca, libera e fiera che ho ereditato. Quella che poi ancora aleggia in quello splendido slancio umano e che riecheggia, con vigore, nella canzone e nella ricostruzione letteraria di un tempo e di una terra di fatica, di coraggio, di rabbia e di amore.

Accanto al profondo rispetto e a un tributo di affetto per il valore di quei campioni che, come Girardengo e Coppi, hanno reso onore al nostro Paese e allo sport, permettetemi un pensiero per l’esistenza sbandata ma colma di dignità di Sante Pollastri…

Revival

Il passato è sempre più presente, accidenti.

Alla faccia delle distanze generazionali e dei mutamenti sconvolgenti il 2010, che a scriverlo e pronunciarlo, sembra un anno da film d’avanguardia e fantascienza, è il tempo del revival. Via la polvere e tutto quello che era stato archiviato e infilato in qualche remoto angolo di soffitta torna buono per i giovani gusti. Musica e moda attingono vistosamente da decenni floridi e fantastici che credevamo superati.

Noi che ragazzi non siamo più abbiamo già vissuto certe atmosfere e amato certi brani. Abbiamo già visto certe combinazioni e magari abbiamo ancora nel guardaroba i vestiti originali che oggi si affannano a scopiazzare. Tutto torna. Come se non ci fosse più estro per inventare cose nuove. Come se il meglio fosse proprio da ripescare in uno scorcio passato di grande fermento e di splendidi movimenti. Nostalgia, revival, rivisitazione, ammirazione postuma.

Spiace solo che spesso la riedizione scarseggi in qualità, sia una riproduzione sbiadita o un saccheggio dal patrimonio storico senza alcuno slancio culturale. Le materie prime, innanzi tutto. Insomma scopriamo che le stesse forme e gli stessi colori non godono più dei buoni pellami di una volta o non conoscono la calda lana. E poi il recupero è affidato a mani che non hanno la vecchia abilità, il maniacale impegno, la serietà professionale. Il risultato spesso è un po’ kitsch o goffamente rabberciato.

Per fortuna la musica offre qualche performance gradevole: mescola i generi, compie uno sforzo di interpretazione, raggiunge felici sintonie tra tradizione e orizzonti da esplorare. Sul filo della riviviscenza ci sentiamo tutti vicini, ecco. D’un tratto genitori e figli possono ritrovarsi ad ascoltare lo stesso cd. E pure a condividere gli stessi abiti, più o meno.

Il cruccio è quello della relazione sfilacciata con la storia e con il costume. Insomma noi abbiamo legato canzoni e abbigliamento a momenti, a fenomeni. Per noi sono stati espressione di qualche tendenza, di una scelta, della forza delle idee. Per molti ragazzi di oggi sono calati dall’alto, dal mercato, dagli orientamenti delle firme e dalle onde dei media.

In fondo non c’è la stessa percezione, la stessa elaborazione, lo stesso coinvolgimento intellettuale. Il revival è uno spudorato sfruttamento di un ricco bagaglio. Ma le emozioni non si ripetono sempre. Manca la scintilla che c’era quando qualcosa è nato, con tutta la passione per quello che rompe e irrompe.

Non so se il passato esercita un vero fascino, ecco. Ho l’impressione che molti seguano ciò che “si usa” senza occuparsi delle radici, delle ragioni, senza neanche sapere che quello che gli arriva addosso è l’eco dell’urlo di ieri. E che tutte le meraviglie di altri decenni servano a colmare il vuoto di questo periodo flaccido, sbadato, rintronato.

O magari abbiamo davvero consumato tutte le risorse della fantasia…Chissà.

Comunque mi interrogo soprattutto sulle relazioni. Tra noi e i nostri ricordi. Tra noi e l’attualità. Tra le epoche che si toccano, si sovrappongono, si confondono. Tra le differenze che si annullano nonostante l’anagrafe…

Brandelli del 2009

Qualcosa mi resterà incollato addosso, lo so, mi piaccia o mi disturbi.

Qualcosa vorrò conservarlo nella memoria, come quelle pagine che sembrano scritte per restare indelebili nel cuore.

Molto finirà con gioia tra i rifiuti tossici che mi auguro vengano smaltiti presto senza troppi danni.

Non so quali momenti resteranno scritti nella storia di onore e gloria, a parte le piccole gioie squisitamente personali. Troppi scivoloni, troppi scossoni, troppe degenerazioni. O solo il normale tilt di un’epoca, forse.

Ne usciamo un po’ a pezzi, insomma. E anche se questa storia dei bilanci di fine anno è noiosamente sciocca nella sua ripetizione roboante almeno quanto la lista di buoni programmi, intenti e desideri per quello che verrà, finisco per sguazzarci dentro anch’io. Ma con un po’ di ironia, almeno. Che tanto le elaborazioni serie in prossimità di Capodanno sono quasi sempre un’altalena tra le marce funebri e i fuochi d’artificio.

Ecco ho voglia di avvicinarmi alla fine del 2009 con un paio di brani musicali, di quelli che saltellano nelle nostre orecchie come vibrazioni quasi elettriche di un tempo che è tutto e niente. Perché siamo lacerati e liberi…Liberi senza vie d’uscita come canta J-Ax in Immorale.

Quando siamo fuori dal coro vincente possiamo piangere o ridere, magari fiutare l’aria per capire da che parte tira il vento e poi rifugiarsi in qualche solitario disagio di attesa. O gridare un po’ di rabbia. O soffiare sulla polvere per spazzarla via. E qualche volta ci sorprendiamo a stupirci di una realtà che nemmeno la satira fa arrossire. Canta che ti passa. Tanto non siamo padroni del destino. Tanto non cambieremo il corso degli eventi. E a fine 2010, tra nevrosi e sorrisi, magari staremo ancora tra quelli che faticano ad adeguarsi ma continuano a camminare su questa Terra.

Chissà se anche tu, lettore, ti senti un po’ Newrante come la band The Styles.

In questi ultimi sprazzi di dicembre pensiamoci. Ma non troppo…

Ramazzotti: Parla con me

Il testo della canzone di Eros Ramazzotti mi sembrava un dolce e accorato invito all’amata: “parla con me, parlami di te, io ti ascolterò, vorrei capire di più quel malessere dentro che hai tu…”. Poteva anche essere dedicato a un amico, ecco. A qualcuno verso il quale nutriamo affetto, al quale siamo legati da stima, qualcuno per il quale ci preoccupiamo e al quale vogliamo stare accanto. Raccogliere le parole, conoscere, comprendere. Accarezzare i pensieri insomma. Forse per abbracciare, per lenire il dolore, per fare insieme un cammino.

Ma il video della canzone mi ha fatto pensare a molto, molto di più.

A tutto lo squallore dei silenzi e delle distanze, alla solitudine di troppi sms, al bisogno di relazioni su facebook, alle comunicazioni stringate in una mail. A tutte quelle emozioni che esprimiamo con una emoticon, all’incapacità di toccarsi e guardarsi negli occhi, a quell’assurda fuga dagli incontri, dall’umanità, dalla vita. Tutti con il cellulare in pugno, tutti chiusi in una scatola di segni e rapidi scambi, trascurando chi è a un palmo da noi.

Proprio così, accidenti. Al bar, allo stesso tavolo, tre amiche massaggiano con altre persone, quasi incuranti dell’opportunità di godere della compagnia presente. Sull’autobus o sul treno i viaggiatori non colgono più l’occasione delle chiacchiere e dei sorrisi, scorrono veloci le dita sulla tastiera come a raggiungere qualcosa che non è lì sottraendosi a quello che c’è. Tutti incuranti delle pose che si assumono in quell’isolamento dalla realtà palpabile. Uomini e donne che inviano parole minacciose o ironici ammiccamenti o dichiarazioni appassionate, in mezzo alla strada, in ufficio, tra la gente. Senza vedere e sentire quanta linfa scorre intorno, quanto si perde in quella distrazione, quanta indifferenza si dedica al mondo e alle sue meraviglie.

Troppi rapporti muoiono prima di nascere, nella fretta dell’egoismo o della superficialità o della stupidità. Non abbiamo voglia di confrontarci, di scoprire, di avere legami autentici e profondi o di godere di attimi indimenticabili. Tutti anonime comparse sull’orribile set della leggerezza più inconsistente e opaca.

Non è la tecnologia ad averci chiuso in gabbia. E’ la nostra insofferenza, la nostra sottile crudeltà, la nostra insensibile smania di correre a sbarrarci l’orizzonte, a nascondere l’arcobaleno.

Il video è un pugno nello stomaco, una fotografia assolutamente fedele. Ma finisce riproponendo le stesse immagini in sequenza rapidissima, senza cellulari che ci rimbalzano fuori dai contatti, con le stesse persone che finalmente stanno veramente insieme, con gli stessi luoghi e momenti vissuti con l’intensità e la ricchezza delle umane sfumature. Parole, parole. E occhi negli occhi. E condivisione. E amore per il più grande tesoro che la vita può offrirci: la preziosa unicità delle persone che riusciamo a incrociare, a sentire, a respirare.

Non smettiamo di crederci. E’ possibile. Quel finale scorre nella mia testa, nel mio cuore. E sulla faccia si dipinge un sorriso. Per fortuna non ho mai dimenticato di abbeverarmi alla fonte degli uomini.

M. Jackson: non solo naso

Altro che Cyrano.

Chissà cosa c’era dietro i nasi finti di Michael. Le esasperazioni, le manie, il tormento. Qualcosa che è più facile condannare che comprendere. Perché dopo l’esuberanza di ogni eccesso celebrato a tutte le latitudini capita di annoiarsi e indignarsi per quello che ci sfugge e ci appare, finalmente, la malattia del nostro viaggio esagerato.

Non è la storia di Jackson. E’ la nostra storia. Quella di un mondo e di un tempo in cui corriamo sbrodolandoci addosso troppo bisogno di emergere e stupire. O forse solo di essere accettati. Dalla platea che ci vuole perfetti. Dallo specchio che ama i belli. Dall’anima che non riconosce più il bene e il male.

Dovremmo tacere, su Michael Jackson. Ma parlare di noi tutti. E in fretta.

E' tutto un equilibrio sopra la follia

1° Maggio. Non ho potuto stare davanti alla tv, salvo nella prima mezz’ora di collegamento quando il concertone arrancava un po’ e tutti invocavano l’arrivo di Vasco Rossi, special guest.

A me Vasco Rossi non piace anche se apprezzo molte sue canzoni. Mancava da dieci anni sul palco della Festa del Lavoro e dei Lavoratori. Leggo che è stato un trionfo. Suo, dei Nomadi, di Caparezza, di Edoardo Bennato, degli Afterhours.

Sono lieta che la musica sia incontro, abbia un pubblico esultante e si riveli un grande momento di afflato sonoro e umano. Mi spiace solo ci siano molti Ragazzi di Strada che suonano e cantano meravigliosamente ma restano sconosciuti perchè non godono di un passaggio tv. E magari non ne hanno goduto perché non erano abbastanza “dannati” per diventare idoli. Idoli di una vita consumata negli eccessi.

Perché funziona così. Che anche “Arisarsi”, neologismo che entrerà nella prossima Treccani, ovvero costruirsi ad immagine e somiglianza di Arisa, sarà sempre un fatto di moda, di spettacolo, di curiosa attrattiva e non una scelta profonda.

Tutto deve fare boom. Colpire, ecco. E dunque una Vita Spericolata, tra folle oceaniche o piccoli palazzetti, troverà sempre ascoltatori in delirio.

Mi chiedo se sia un simbolo, Vasco Rossi, per lavoratori, disoccupati, precari.

Ma d’altra parte non sono un critico letterario. E mi aspetto che Vasco Rossi sia semplicemente…Vasco Rossi. E che siano tutti felici di aver goduto gratis di qualcosa che altrimenti avrebbero pagato caro, al Ragazzo di Strada.

In fondo non è neanche arrivato il giorno del mea culpa sindacale quindi il 1° maggio può essere celebrato da tutti e con tutti.

NovarAbruzzoLive: concerto per l'Abruzzo

 

Novara, 30 aprile ore 21, sala Borsa, piazza Martiri: concerto per l’Abruzzo.

Un modo per partecipare.

Un’occasione perché la musica diventi incontro, espressione di vicinanza.

 

Sex & video

Adesso i cantanti non si ascoltano, si guardano. Le canzoni arrivano attraverso le immagini con musica e testo che passano per colonna sonora.

I video musicali sono diventati piccoli film, storie. Alcuni sono decisamente belli. Buoni nella sostanza e nella confezione, insomma. Altri sono solo ammiccanti, commerciali. E passi. Insomma tutto quel costo che poi ricade sui prezzi di cd e concerti ha funzioni promozionali e risponde a logiche di mercato: deve attirare ascolti…o visioni.

Ma ce ne sono molti brutalmente osceni, assurdi, volgari fino al disgusto.

Passerò per moralista puritana! Che sciocca delizia…

Meglio comunque puntare il dito, urlare lo sgomento, scovare il senso di tanta esasperazione. Il sesso la fa da padrone. Ma non è il sesso ad essere indecente. E’ la sua rappresentazione. In quella urgenza di consumarlo ovunque e comunque, con volti piegati a maschere allucinate di trucco e sballo, con quella sgarbata e desolante asimmetria di respiri, con una brutalità squallida.

In un groviglio di tensioni bestiali e di affanni dolorosi scorrono inquietanti forze e debolezze. La passione bruciata in un turpe ammasso di corpi sfibrati, di aggressioni all’anima, di sconcertanti furori di ribellione. Reazioni scomposte e crudeli. Aneliti biechi. Scene deformate e deformanti che ipnotizzano. E un’eccitazione che rompe ogni argine. Non una nuda sensualità, ma una sferzante e feroce interpretazione di un percorso umano di ingorda e folle lussuria.

Il bisogno di trasmettere il trionfo degli istinti o peggio quello di portare in scena una realtà travolta e stravolta dalla provocazione estrema. Spezzoni agghiaccianti di amore rubato, offeso, deriso. Proiezioni devastanti di una scellerata gloria dell’audacia ad ogni costo. Nel misero finale di un sorriso che assomiglia ad un ghigno. Orribile e diabolico.

Raccontano lo strazio, il desiderio, la paura, lo smarrimento, il vuoto. E la scelta di stordirsi di effimero come fosse l’unica cosa buona dell’universo.

Sono zeppi dei peggiori stereotipi e celebrano la bellezza, la ricchezza, la spregiudicata corsa sprezzante della vita. Le donne manichini di fascino e curve, gli uomini bellimbusti tenebrosi e mascalzoni impenitenti che dominano il mondo. Tra lusso che brilla, vanità che trionfa, depravazione che galoppa.

E non ci sono uomini e donne che si indignano. Voci che si levino per fermare questo scorrere di turpi messaggi.

Devo pensare che i video non sono che presentazioni della realtà?

Devo pensare che piaccia a tutti crogiolarsi in quel terreno di fantasia e desiderio?

Devo pensare che sia un mezzo di evasione stuzzicante dal grigiore della quotidianità?

Qualsiasi risposta mi lascerebbe costernata, credo.

Vedo orde di ragazzi incantati davanti a quei filmini e mi chiedo se sono rapiti dalla speranza e dall’invidia, dalla confusione o dallo sconcerto. Se è possibile realizzare certi video è possibile anche immaginare che non siano altro che la verità o un traguardo cui anelare…E a me fanno tremare entrambe le possibilità.

L'Italia aspetta la sua storia d'amore

Talvolta si urla la rabbia per passione. Perché l’indignazione e la delusione sono anche questo. Non sopportare più il dolore. L’Italia ci ha rotto i coglioni, canta  Marco Masini. E’ la furia della dolcezza, è una ribellione umana e civile.

Perché un motivetto da Festival può essere retorico e opportunista, ammiccare per attirare consensi. Ma la verità resta. Intera, profonda e dura. E interpreta la sofferenza struggente di molti.

Pensate dunque quello che vi pare di Marco Masini e della sua canzone, non è da questo che sono interessata. Quello che mi rapisce è il pensiero sapientemente condensato in poche parole: l’Italia aspetta la sua storia d’amore. E’ da poeti o da saggi o da acute e disperate anime in umana riflessione. E’ una di quelle sintesi magicamente esaustive che colgono in un lampo una vita intera, un percorso lunghissimo e complesso, un groviglio di intelletto e sentimenti.

Fatta l’Italia avremmo dovuto fare gli italiani affinché l’amassero. Oggi più che mai si svela fatale quel processo incompiuto. Oggi più che mai l’amore negato grida le sue pene.

E piace ancora a troppi scrollarsi di dosso la bruttura gettando la croce a destra o a sinistra proprio infilando l’occhio nel mirino. Perché già sparare nel mucchio sarebbe più vicino alla reazione emotiva comprensibile. No, tutti hanno preso la politica di una parte o dell’altra come origine di ogni male, come colpevole unico delle nefandezze globali.

Preferirei appunto un po’ di sano qualunquismo, una distribuzione a pioggia delle responsabilità sarebbe certamente più realistica e onesta.

E’ faticoso, molto faticoso avvertire la collettiva deriva umana, sociale, culturale e accorgersi che è addirittura impossibile parlarne se non attraverso la critica all’operato di uno schieramento politico.

Forse non ci è chiaro che le ideologie possono essere la più turpe e pericolosa trappola dell’uomo se l’uomo smette di metterle in discussione, di verificarle, di conoscere le altre. E’ come mettere il cervello in soffitta o peggio in un sacco di cellophane. Non c’è nulla, credo, di così assoluto che l’uomo non debba ogni giorno sfiorare con il pensiero per accertarsi esista, sia giusto, possibile, buono.

Se ci lasciamo appiattire dalla troppo a lungo osannata ideologia, quale essa sia, più che virtù il credo e la passione civile diventano limite. Perché indossiamo senza accorgercene il paraocchi. E quelli abili manipolano proprio questo “fanatismo” comodo e cieco delle nostre incrollabili prese di posizione per passarci allo spiedo come polli.

E forse ci è ancora meno chiaro che delegare a pochi di sbrigare le pratiche di molti non significa affatto non dover sapere se nono state espletate, quali benefici comportano, quali problemi sollevano. Rimangono questioni nostre, interessi nostri, diritti e doveri che non evaporano: non perdiamo alcuna potestà facendoci rappresentare.

E se qualcuno mal ci rappresenta possiamo presentargli il conto dei danni, prenderlo a calci nel sedere e destituirlo dall’incarico.

Ma per farlo dobbiamo esserci. Per intero: corpo e anima. Imparare a considerare il bene collettivo. Prendersi la responsabilità di avere in testa con sufficiente chiarezza che società desideriamo, almeno.

Perché sentenziare sui politici ladri, inetti, arroganti, spendaccioni solo per la rabbia di non poterli emulare è assolutamente insopportabile. “Nel nostro piccolo”, come si usa dire, iniziamo ad amare l’Italia, l’Italia che aspetta la sua storia d’amore. Poi scagliamo pietre contro chi non fa altrettanto.

Sembra quasi che un vizio nazionale sia pretendere l’amicizia senza prima offrirla. Aspettare che il buon esempio venga “dall’alto” oltre ad essere una fuga indecente è pure un insulto alla nostra dignità. “L’alto” siamo noi, il popolo sovrano. I politici sono impiegati al nostro servizio. Anzi no, al servizio dell’Italia che dovremmo amare.

L'Italia di Mino Reitano

Adesso che ci ha lasciato, Reitano sarà per tutti un mito nazionale. Anche per i detrattori. Come sempre accade la morte addolcisce i toni e ammanta tutto di buona nostalgia.

Critici e intellettuali di fronte ai mielosi e un po’ retorici melodici all’italiana non sono mai stati tenerissimi. D’altra parte è innegabile fosse sempre più facile respirare il fascino della canzone impegnata, del cantautore sociale, dell’ironia graffiante o della poesia esistenziale.

Su certe note romantiche abbiamo tutti sognato, forse. Ma abbiamo insomma di gran lunga preferito i versi complicati e geniali, le inquietudini di altro respiro, la ricerca più sofferta, il significativo risvolto culturale.

Certi ritornelli hanno fatto il giro del mondo, regalato brividi, fatto ballare e visto nascere amori ma da decenni sono stati superati da altre tendenze. Generi molto diversi hanno incontrato il favore del pubblico. E l’etichetta di canzone “popolare” non sembra essere un premio al valore…

Ma oggi Reitano è il generoso e appassionato cantore delle emozioni, lo spirito semplice e autentico di una certa umana dimensione. Qualcuno vorrà ricordarlo perché povero emigrante felicemente tornato nel suo Paese. O per il suo sorriso di dedizione alla vita.

Di terra bella e uguale non ce n’è

Italia Italia

Questa canzone io la canto a te…

Una struggente dedica alla propria terra. O una forzatura commerciale, come molti sospettano sempre quando si fa leva su un sentimento languido di culla e valori. Anche la sorte di L’Italiano di Toto Cutugno fu sospesa tra trionfo di vendite e ascolti e critica di opportunismo. Ma questa è questione nota.

Resta che Reitano ha interpretato un pezzo della nostra storia e dei nostri sogni. Ha accarezzato i nostri cuori e regalato qualche attimo di commozione. Perché la pelle sensibile a certe parole di ardore e trasporto non può restare indifferente alle vibrazioni dell’affetto, al battito delle radici, alla gioia di qualche entusiasmo morale.

Ma resta anche la sensazione di un’Italia amata e negata. Di un’Italia che Patria non è o non può essere, per destino o per vecchi fantasmi.

Contraddizioni e lacerazioni. Che magari qualcuno celebri Reitano solo spolverando qualche bel concetto utile a ogni strumentalizzazione è assai probabile. Che lo si lasci riposare in pace con il suo bagaglio di candore o di impeto è invece auspicio di più onorevole onestà.

Un giardino dentro al mare

Contadina come me

Ride e canta e’ ballerina

Forse il sole è nato qui

Quest'Italia che profuma

Di oleandri e di perché

E’ esistita questa Italia? Esisterà?