C’erano una volta maggioranza e opposizione, conflitti e accordi, satira e critica, idee e seguaci, serio e faceto, lingua e gergo. Ma a tutti giovò sopra ogni cosa la confusione. Un nuovo linguaggio e il retaggio del vecchio, le mille voci urlate sopra ciascuna voce, la comicità sulla beffa, il sarcasmo della verità contro la verità del sarcasmo, le accuse mescolate alle difese.
E la libertà. Quella fasulla. Concessa e distribuita come si concede e si distribuisce un sorriso da un palcoscenico. Pensate quello che vi pare. E ditelo pure. Anzi. Più lo dite meglio è. Nel calderone di parole la realtà annega e restano solo i punti di vista. Quelli che salvano la capra e i cavoli.
E il web. Che ci riconosce tutti opinionisti. Assolutamente ininfluenti ma protagonisti dell’illusione di esserci e di avere possibilità di espressione. Che se non sei un blogger americano o iraniano guai a citarti ma tu, comunque, credi che qualcuno ti citi in cuor suo.
E la polemica. Quella che rende lieto il potere, a destra e a manca. Perché egualmente spalmato da una parte all’altra sta il bisogno di sollevare questioni e lasciare che intorno ad esse tutti si animino a discutere, a pontificare, a indignarsi, a sorridere, a piangere. Così tanto da rubar la scena all’oggetto di tanto scatenamento di energie.
Perché questo è il Paese del calcio. Dove a pochi importa il bel gioco, quello che piace è il tifo: ladra, incapace, corrotta, sbilenca che sia la mia squadra è la migliore.
Il Paese dove l’onestà intellettuale è una condanna all’isolamento perpetuo. Perché qui se non gridi, se non insulti, se non fai battaglie plateali, se non condanni con violenza sei meno di zero, non hai muscoli e coraggio, sei un “moderato” idiota, un equilibrista disgustoso, un vile. Perché qui se hai un’anima di sinistra ma hai orrore per la Sinistra o ce l’hai di destra ma ti fanno pena certe alleanze devi solo soffrire in silenzio. Che se provi a ragionare, a proporre, a chiedere un attimo di riflessione rischi solo qualche sguardo di commiserazione o una pacca sulle spalle del tipo “non stai bene, riprenditi” o “ma si, ma si, fai un po’ di filosofia buona tanto non ti fila nessuno, sei innocua”.
Qui bisogna puntare la pistola.
Ma il dito è buono e non preme il grilletto. Fa solo la mossa, dopo. Sempre dopo. Perché durante hanno tutti le mani in pasta e non possono impugnare l’arma.
E’ il sistema, ce l’hanno spiegato.
Non è neppure immaginabile che muoia il balletto della fionda. Oggi è una vignetta, domani è un Giornale, ieri era una foto ufficiale. E quando la terra trema e fa strage ancor più si soffia sul fuoco. Forza, tutti a brontolare, a fare buoni propositi, a ergersi a giudici, a tirar fuori dalla tasca soluzioni. Tanto le colpe stanno ovunque, tanto vale fare chiasso scaricando il barile, ci azzecchi sempre e non scomponi granché.
Non mi fosse un po’ antipatico a pelle gradirei Emilio Fede a reti unificate, 24 ore su 24 ore. Cantore, amante, censore e umorista. Eccessivo. Come i cantori, gli amanti, i censori, gli umoristi devono essere. Per passione o per professione. Rigorosamente senza pretese di obiettività. Perché lui dell’obiettività deve infischiarsene, allegramente.
Però sono quelli dalle apparenze più feroci, dalla cultura sottile, dal tratto vestito da imparzialità a far scorrere inchiostro e suoni. Perché si prestano meglio al Sistema dello scontro, alla farsa del duello. Accendono di più. Distraggono di più, soprattutto.
Le solite facce, le solite cose, i soliti scandali. Siamo il Paese dove le coincidenze coincidono, dice la signora Lia. Siamo il Paese dove la mano destra bacchetta la sinistra e viceversa ma non si applicherebbe mai, orrore!, la legge del taglione.
Con buona pace di tutti quando avanzerà tempo, tra una strategia e l’altra a montare inconsistenti quanto stravaganti contese, potremo anche occuparci dei problemi del Paese.
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