Irene Spagnuolo

Anch'io ringrazio e saluto

La Stampa, la “nostra” testata, ha deciso di chiudere lo spazio dei blog gratuiti. E’ una scelta insindacabile ovviamente quindi, in attesa del commiato, inizio a ringraziare e a salutare proprio come molti altri blogger hanno fatto in questi giorni.

E’ triste, più di quanto avrei potuto immaginare. Sono affezionata a queste pagine, agli amici, ai lettori, ai miei “colleghi” di web, a questa comunità di confronto e scambio tra momenti di leggerezza, costume, attualità, onde sentimentali e riflessioni più o meno serie sull’esistenza.

In questa che è diventata la casa dei miei pensieri ho scritto di musica, cinema, società, sogni, letteratura. Come un gioco, come un urlo, come una lettera al mondo, come un messaggio in bottiglia, come un esercizio d’espressione. Per amore, soprattutto. Per bisogno, anche. Sempre con slancio, con grinta quasi. Interrogandomi e chiedendo aiuto, accarezzando i desideri e leccando le ferite. Un po’ per indagare, un po’ per capire, un po’ per raccontare…

Ecco, forse è arrivato il tempo di raccontare davvero. Di riaprire quel cassetto e di mettere le mie energie al servizio di quelle storie che bussano alla testa e al cuore, smaniose di essere raccolte e consegnate in qualche modo alla conoscenza e alla memoria di chi vorrà accoglierle.

Ma è doloroso sapere che non ci sarà più l’appuntamento qui.

Mi scappano insieme una lacrima e un sorriso per tutti i pezzi che andranno dispersi…Non saprei quali andare a ripescare e salvare. Non potrei affrontare un lavoro e una selezione così impegnativi. Accetto questa sorta di oblio, con fatalismo. Forse doveva andare così per lasciare un porto e ripartire…

GRAZIE alla redazione, ai blogger con i quali mi auguro di restare in contatto in altro modo e ai lettori, tutti: quelli che mi hanno donato complimenti ed esortazioni, quelli che hanno illuminato il mio cammino con interventi e osservazioni di grande respiro, quelli simpatici e brillanti, quelli acuti e irriverenti, quelli che hanno condiviso pene ed euforia, quelli che mi hanno suggerito tante meditazioni, quelli che mi hanno tirato le orecchie per un post che non trovavano di loro gradimento.

Cercherò di dedicare un saluto a ciascuno ma intanto abbraccio virtualmente tutti insieme.

 

Vai Girardengo...grande campione!

In attesa della partenza del Giro d’Italia 2010 a Novara fervono già i preparativi per accogliere la 5° tappa. I corridori arriveranno a Novara mercoledì 12 e ripartiranno giovedì 13 maggio alla volta di Novi Ligure con naturale omaggio ai grandi Girardengo e Coppi (nel cinquantesimo della sua morte).

Mentre si gira “Il campione e il bandito”, fiction tv tratta dal libro di Marco Ventura, dove Beppe Fiorello interpreta il bandito pericolo pubblico numero uno, il Robin Hood piemontese Sante Pollastri e Simone Gandolfo veste i panni di Costante Girardengo, mi torna in mente la splendida canzone di Francesco De Gregori “Il bandito e il campione” e ripenso ai racconti della mia famiglia.

Mio nonno e suo fratello Eugenio, noto alla parentela come zio ‘Genio, nati e cresciuti nella stessa terra degli amici Sante Pollastri e Costante Girardengo mi hanno raccontato quel pezzo di storia che fu cronaca e sport di eccezionale rilievo, tanto da diventare mito e ispirare musica, letteratura, film. Ecco, ricordo soprattutto l’emozione del nonno e di zio ‘Genio. Perché loro avevano seguito e applaudito le pedalate di Girardengo come avevano respirato la vita un po’ speciale di Sante Pollastri che chiamavano, come forse tutti nell’alessandrino, Pollastro.

Tra leggenda e realtà la vicenda di Sante Pollastri, anarchico, ladro galantuomo, ragazzo incappato in una sorte convulsa e criminale, finisce con l’arresto proprio al traguardo della corsa di Costante Girardengo. Nel cuore del bandito la voglia di aspettare all’arrivo l’amico campione è più forte del rischio e della paura…

Forse non si possono e non si devono celebrare le gesta scellerate di Sante Pollastri ma è difficile cancellare l’immagine un po’ romantica, romanzesca, libera e fiera che ho ereditato. Quella che poi ancora aleggia in quello splendido slancio umano e che riecheggia, con vigore, nella canzone e nella ricostruzione letteraria di un tempo e di una terra di fatica, di coraggio, di rabbia e di amore.

Accanto al profondo rispetto e a un tributo di affetto per il valore di quei campioni che, come Girardengo e Coppi, hanno reso onore al nostro Paese e allo sport, permettetemi un pensiero per l’esistenza sbandata ma colma di dignità di Sante Pollastri…

L'ironia della pena

A me già la pietà, per quanto sinceramente generosa, sembra talvolta un atto di lieve distacco. Non vi dico cosa provo davanti a quella pena insolente e pelosa che talvolta leggo dipinta sui volti austeri vagamente intenti a porgere una smorfia di dispiacere.

La compassione è umana, lo so. La commiserazione è spesso disprezzo malamente accompagnato da un compatimento arrogante. Quasi che la superiorità fosse una legge di natura, lì, inossidabile e indiscutibile. Una condizione di privilegio perfetto e assoluto nella quale sentirsi sicuri, forti e migliori. Migliori di tutti. Migliori del povero e del malato, migliori di quello sfortunato che vive facendo lo slalom tra le disgrazie e gli ostacoli. Migliori di quello solo e disperato.

Ho visto quello sguardo orribile e sbieco, quel ghigno tirato, quella increspatura antipatica delle sopracciglia. E poi ho visto lo scherzo acido e duro del destino. La ruota che gira, il vento che solleva la polvere, la terra che trema. E l’ansia che si intrufola beffarda e perfida. La paura di trovarsi a ricevere lo stesso sguardo mille volte sbattuto addosso a un’anima a disagio.

Ecco, ho capito che anch’io posso provare un pizzico di cattiveria. Nel sottile piacere per quello schiaffo che arriva a ferire quelle facce gonfie di boria e freddezza c’è un po’ di crudeltà infatti. Fatico a nutrire compassione e l’ironia della pena che rimbalza colpendo chi ne aveva sparato troppa mi procura un sorriso…

Mi dispiace, dovrei allenarmi di più alla bontà infinita. Forse.

Ho la pelle bianca

Adoro il sole e la tintarella. Ecco, l’abbronzatura è l’unico “trattamento estetico” che mi ha sempre conquistato. Non ho ansie da creme, acconciature, manicure anzi in verità sono una pigrona che fa fatica a mettere insieme uno struccante con un idratante, che non trova neanche il tempo di spruzzarsi un profumo, spalmarsi un fondotinta o coccolarsi con una maschera per la pulizia del viso. Ma la pelle ambrata, quella si, mi ha sempre affascinato moltissimo. Nonostante la carnagione chiarissima non temo scottature e rossori, divento nera come il carbone in poche esposizioni. Per me che gradivo molto è stata una fortuna. Se non potevo raggiungere il mare bastava una piscina. Anche qualche lampada assicurava un risultato di tutto rispetto.

Però da quattro anni non vedo il mare. E praticamente da quasi tre il mio corpo non riesce ad adagiarsi sotto i raggi caldi e coloranti. Nessuna concessione all’unico vezzo al quale cedevo con piacere e slancio. Purtroppo la faccia pallida non mi regala un’ottima cera, è proprio vero. L’aspetto è quello fiacco e spento di chi non gode di buona salute o è particolarmente stanco.

In effetti sono stanca, tanto, tantissimo. Non gradisco il tono del latte e il confronto con una fotografia dei tempi da nera mi fa arrivare addosso rimbalzati dallo specchio qualcosa come dieci anni in più. Si, è così. Però sono anche stufa di modelli imposti, di abbronzature obbligatorie, di sguardi di pena o pietà, di stupore per l’extraterrestre con la pelle bianca. Accidenti, non è essenziale abbrustolirsi. Sono io, autenticamente io, anche senza le sfumature calde e scure su ogni centimetro di epidermide.

Devo sperare che settembre passi su tutti come candeggina? Insomma tornati nei propri panni naturali tutti ritroveranno argomenti e momenti diversi sui quali concentrare l'attenzione. Adesso ci sono i racconti delle vacanze, la tintarella da sfoggiare, l’invito ridacchiante a infilarmi almeno sotto qualche lampada per non turbare troppo lo spettacolo dominante.

E apparenze su apparenze mi accorgo che non c’è crisi che scalfisca la febbre dilagante. Tenersi la pelle bianca è come non indossare un abito griffato: sei out.

D’altra parte questo è il costume, signori. Guai a non frequentare il locale cult, a perdersi la borsa trendy, a sfuggire alla cura maniacale del fisico, a non omologarsi alla cultura del mercato.

Crollato anche l’unico vezzo mi sento un po’ più forte o più libera. Lasciatemi godere questo momento, per favore. Pazienza se devo sopportare il tormentone delle spiagge che hanno succhiato ogni risorsa e hanno rimandato in città gente dalla cute dorata ma mogia, stressata, con le tasche vuote e l’interrogativo sul futuro imminente. Pazienza se devo tollerare le difficoltà di rientro dei vacanzieri che tanto sudano per adattarsi nuovamente ai ritmi di lavoro e realtà. Ma chiedo quiete, quasi la pretendo! Ignoratemi. Lasciatemi nel mio biancore. Non inorridite, non sgranate gli occhi, non consolatemi con affetto peloso.

E calatevi in fretta nella vita e nel mondo. Archiviate la valigia e i costumi e guardatevi intorno. Ascoltate, tendete una mano, riaprite libri e giornali, respirate l’aria che tira, occupatevi di qualcosa che sfida l’estate e gli ombrelloni. Uscite dalla sbronza, svegliatevi. Provate anche a scavare un po’ dentro di voi, sotto la pelle nera. Cercate l’anima delle cose e del cammino. Infischiatevene delle passeggiate d’ordinanza con la maglietta simbolo del vostro viaggio esotico, cogliete tutto quanto potete in emozioni importanti, urgenze incombenti, pensieri di valore. Ovviamente asciugate anche le lacrime da coccodrillo…

Agosto sta finendo. Era ora! Solo Madonna ha alleggerito il fardello riparandosi con un ombrellino dalle invadenze solari durante il soggiorno italiano…

Non vado in vacanza

No ferie, no viaggi, no mare.

Non vado in vacanza. Per il terzo anno consecutivo.

Sto abbastanza bene in salute, lavoro, scrivo, leggo. Sono innamorata, soprattutto.

Insomma resto in città e continuo le mie fatiche quotidiane perché non posso permettermi una vacanza e neanche una sosta di riposo...Ecco, lo ammetto, la stanchezza urla la richiesta di riposo. A parte questo non ho altri motivi per lagnarmi dell'assenza di prospettive di evasione.

Ci scrivo un post. Leggetelo, memorizzatelo, fatelo girare, diffondetene il contenuto in ogni angolo di Terra per cortesia. E' un moto dolce, credetemi. Un'onda allegra che mi spinge a narrarvi questo spicchio di vita. Sono felice per chi ha voglia di vacanze e può concedersele, sia chiaro. Ma la smania no, sono proprio arrivata a non tollerarla. Prima non la capivo ma facevo spallucce. Adesso mi rattrista, ecco. Mi sembra la spirale asfissiante del nostro degrado. Una moda che ci ha messo in gabbia illudendoci di libertà.

Per favore evitatemi gentilmente i discorsi sull'economia delle località turistiche, sugli umani desideri, sulle modernità sociali. Posso serenamente confrontarmi con tutto e tutti. Ma non con la pretesa di coprire i limiti, la superficialità, la stupidità con chissà quali virtuosi percorsi del pensiero.

Forse non ne posso più di leggere di contrazioni dei consumi e della spesa dei bagnanti. Siete già in spiaggia, avete un ombrellone che vi aspetta per agosto o state comunque andando in agenzia per prenotare un posto al sole?

Ecco, questo basta. Direi che avanza ma è meglio non esagerare...

Godetevi gli attimi agognati. Evitate poi, di grazia, di piangere al ritorno. O di indignarvi per qualche città finanziariamente e socialmente morente che svuotandosi ha ricevuto l'ultimo fatale colpo.

Se vi sentite un po' artefici del destino abbiate cura di metterlo nel conto per le vacanze, con tranquilla ragionevolezza. Contenti voi, contenta anch'io.

Auguro a tutti splendidi soggiorni chissà dove ma, vi prego, non augurateli a me.

Una volta tanto non mi sento anormale, davvero. Anzi.

Chiamo Striscia la Notizia

Una segnalazione a Striscia la Notizia è tra le tentazioni più forti di questo italico tempo. L’orrore della burocrazia, l’ingiustizia clamorosa, l’ignobile truffa, l’ultimo caso di una sanità aberrante e disgustosa sono scariche quotidiane di rabbia, tristezza, frustrazione. Non resta che la tv. Il polverone tv. La carica esplosiva del Gabibbo moralizzatore.

Ma presumo che anche lì la lista di attesa sia lunga. Ci sono dolori e rogne di serie A e di serie B. Scandali macroscopici e problemi che hanno una rilevanza collettiva minore. Scoperte spettacolari e tragedie meno scoppiettanti. E forse è difficile rappresentare, anche con l’arguzia e la buona volontà di un team d’eccellenza, il dramma fisiologico al sistema. Terribile espressione, lo so.

Terribile perché profondamente vera.

C’è una condizione diffusa di catastrofe insita nel dna quotidiano della nostra vita. Il malcostume che quasi fatichi a spiegare, la scellerata e disumana pratica di molti medici, l’andazzo irritante di certi uffici, l’inciviltà comune che affatica il fiato e le speranze. E quella solitudine davanti a un’emergenza che non sia di pubblica calamità che dilata intorno a te l’atmosfera assurda di una noncuranza offensiva, ostile, bieca.

L’esistenza ha affanni a profusione per tutti. Ma ci sono i più deboli, accidenti. O quelli più perseguitati dalla sorte. O quelli che sanno intrufolarsi meno nelle pieghe sconce delle scorciatoie e delle soluzioni.

Sono quelli in cui alberga semplicità e correttezza e che si aspetterebbe solo semplicità e correttezza. E talvolta, per uno scherzo perfido della natura, sono anche quelli che hanno più pudore. Del bisogno, della disgrazia, della difficoltà. Quelli che hanno la dignità dell’esistenza. E sono turbati dalla necessità di gridare per chiamare aiuto. D’altra parte se stanno in silenzio, accasciati sotto gli occhi di tutti, nessuno si ferma a tendere loro una mano. Possono soffrire e morire senza disturbare troppo.

La rete c’è, denuncia, racconta, riflette. Ma certo non è Striscia la Notizia. Non bombarda tutte le case, non mette in moto facilmente ingranaggi e interventi.

Provare non nuoce, certamente. Un messaggio in bottiglia può finire in acque lontane o essere raccolto, chissà. Ci penso con un sottile disagio. Come se avessimo bisogno, perennemente, del controllore e del censore. E poi ci ritrovassimo a chiederci chi controlla il controllore.

Basterebbe esserci. Eppure è un’espressione vuota, ormai.

Ti ho perso di vista

E non perché hai svoltato l’angolo in fondo alla strada uscendo dalla mia visuale. Perché non c’è la persona che immaginavo tu fossi. Gli amici evaporano quando non lo sono mai stati davvero, bisogna rassegnarsi.

D’altra parte non ho alcuna voglia di cercarti mentre insegui un sogno altrui come se fosse il tuo. Questo è quello che ti piace, questo è quello che sei. Da molto tempo ti vedevo assorto, altrove. Come una presenza garbata che trattiene un poco il bisogno di correre via. Là dove tutto è lieve. Là dove c’è gioco. Là dove puoi emozionarti e ubriacarti di speranze, glorie, abbracci e progetti.

Tocchi spettacolari che calzano a pennello sul tuo profilo soavemente delicato. Perché si vestono di slancio generoso, di genuina passione, di sano divertimento. Alle apparenze. Che poi non siano che la tua natura è altra storia. Questa l’ho letta io. Nel tuo distacco. Nelle cause che hai abbandonato per sostenere quella più vivace e facile.

Ma ora sei anche ridicolo. Nell’amara farsa in cui cerchi di stare in equilibrio con il mondo. E mi piace che tu sappia che io so. Non è una trappola di parole. E’ che adesso viene buona la memoria e i conti tornano. Quello che è simpatico e non impegna ti conquista e non ti stanca. Perché ti regala l’inganno di essere importante.

Il dolore, l’autenticità, il baratro profondo, i moti incerti, l’affanno, la meticolosa e sincera percezione della vita ti fanno inorridire. Quando lo dicevo ti dava noia, accidenti, sminuivo la tua sensibilità,  la tua carica umana, il tuo portentoso intelletto. Ma non era che la verità.

Eccoti alla fermata, in attesa perenne di un’eccitazione altrui che ti porti da qualche parte, che ti affascini con il suo carico di lustrini, che finga di donarti ogni affetto.

Viaggia pure. Te la caverai, forse. Sei circondato di copie, compagni fasulli che fanno il tuo stesso cammino di superficiali intese. Ci saranno sempre, loro. Perché come te stanno a galla, non entrano mai nel cuore, non ti portano mai nel cuore. Anime senz’anima che si ostinano a credere che basti riempire le giornate di sorrisi sciocchi per tirare avanti anni di gioia. Mai avranno la mano nella tua. Mai prenderanno la tua mano nella loro.

Se non te ne accorgerai o se non te ne importerà arriverai al capolinea fresco e contento. Se per caso farà capolino dall’esistenza l’esigenza di autentici respiri sarai fottuto. E sarà un finale brutto, molto brutto.

Allora sarai tu a ricordarti di me. Del sogno mio che hai lasciato solo per andare a bruciare le tue energie chissà dove, là dove brilla qualcuno che non saprà mai che tu esisti davvero.

Ho l’amore  ed è un godimento infinito.

Ma ero terrorizzata dalla tristezza di una vita senza amicizia. Invece trovo conforto in un’idea: forse è meglio la malinconia di una mancanza che il tranello di credere in quello che non è.

Sono un fenomeno

Non chiedetemi di svelare le ragioni e il senso di una simile certezza. Non posso farlo. Sarà solo il tempo a consegnarvi ogni spiegazione.

Sarà troppo tardi per qualcuno. Tranquilli, a dispetto della scoperta non sono stata abbandonata dalla modestia e non è quindi arrogante presunzione a indurmi ad affermare che taluni arriveranno a crederci fuori tempo massimo. E’ anzi un doloroso quanto inevitabile fardello.

Ma oggi ancora una volta ho sorriso di fronte alla furibonda ansia della signora Lia presa ad ammonirmi sulle atroci insidie dell’uomo invidioso e dell’uomo cattivo. E’ una sua ossessione, devo spiegare, incastrare nell’una o nell’altra specie certi soggetti. Non era dunque la prima volta che cercava di farmi discernere odore e parole degli uni e degli altri. Però nella sua lezione odierna era particolarmente insistente. Forse per la foga della rabbia e dell’affetto.

Il mio sorriso non era irriverente, la signora Lia è sempre maestra di vita! Ma, posto che non ho mai conosciuto uomini buoni che fossero invidiosi e uomini cattivi che non lo fossero, non riuscivo a darmi tanta pena per simile sottile e tortuoso cammino di analisi dell’umana natura. Al più tendo a distinguere gli arcigni con il coltello ben visibile tra i denti, di crudeltà diretta armati insomma, dai perfidi subdoli, quelli che strisciano e lasciano la bava di ferocia con ambiguo equilibrismo.

Terribili i secondi, più di tutti, a parer mio. Addirittura complimentosi, talvolta. Si sprecano in garbate locuzioni, fingono gentile confronto o civile indifferenza e ti piantano il pugnale nella schiena. Terribili anche perché si portano dietro una schiera di adepti improvvisati e viscidi: quelli che stanno con il più forte mossi dal bisogno di mostrare una ruvida schiettezza per darsi contegno da duri e puri, quelli che, appartenendo appunto al tipo infido godono a tramare con il compare di carattere quando colpisce un loro tormentoso obiettivo.

Lo spettacolo di oggi più che ira a me destava tristezza. Che vita angosciante quella del cattivo invidioso, che ad abbinare così le parole non devo smentire le distinzioni della signora Lia e neanche sostenerle con convinzione…

E non ce la facevo proprio ad adirarmi con la veemenza della signora Lia, ad addentrarmi nelle scrupolose indagini di sfumature e risvolti, a prendere sul serio le sue irritate espressioni di durezza verso i vili attacchi del tarlo macchinoso e maligno.

In altri momenti l’avrebbe forse infastidita pure il mio sorriso. Si sarebbe preoccupata, almeno. Per la mia leggera noncuranza della malvagità e del pericolo per lei così insopportabili.

Ma questa volta no. Lei è stata tra le prime a capire e sapere che sono un fenomeno. E ai fenomeni la signora Lia, con limpida intelligenza e profonda sensibilità, guarda con dolce e vivace trasporto. Concede quasi tutto.

Mi è andata bene, ecco. Ho potuto sorridere, impunemente.

Ma, sia chiaro, sorridevo per l’affanno generoso e pulito della signora Lia. Non perché i cattivi invidiosi mi rallegrino. Non potrei mai gioire del loro tormento per me, fenomeno. La modestia è proprio salva, insomma! E questo regala una magnifica sensazione di benessere.

Mah...

Il dramma ti crolla addosso. E niente è più come prima. Niente.

Quando ho toccato la sofferenza di una ferita devastante, quando non sentivo neanche più l’acqua che mi scorreva addosso, quando ho visto i pezzi della memoria tra il fango ho respirato l’odore acre della vita e della morte quando si sfiorano. Il respiro si fermava e poi correva, come i pensieri.

Tra le mani scivolava il senso di tante cose.

Con le lacrime trattenute a stento, il dolore e la paura che urlavano, la violenza che mi sbatteva in faccia la verità, facevo andare le mani e le parole. Per esserci, per fare, per capire, per dare. Travolta e stravolta ma non spezzata, fortunata io. Era questo, forse, a muovermi dentro la forza.

Non era la tv, non era una realtà lontana. Era sulla mia pelle, nell’aria buia, nella disperazione che mi soffiava accanto, sulla strada che prendeva i miei passi nervosi e tristi.

E adesso la percezione esatta di quello che può essere mi fa star male. E’ come un incubo che si ripete. E’ come un suono assordante che mi fa scoppiare i timpani. E’ come una morsa che stringe ancora la gola.

Ora come allora sento l’agghiacciante stupidità delle piccole ansie. La vana corsa. I tormenti sciocchi delle inquietudini miserabili. Vedute corte, di affanni mediocri, di vanità assurde.

Mi spiace che il tempo talvolta attutisca i colpi. Non dovrei dimenticare, mai. Sarei al riparo da ignobili pene, almeno. E avrei dentro sempre il senso della misura.

Possiamo perdere molto, moltissimo. Ma lo strazio maggiore è accorgersi di non averlo mai amato abbastanza quando avevamo la certezza di possederlo.

D’altra parte ci capita di dare importanza a qualcosa e di scoprire poi che non ne ha affatto.

Mi assale un po’ di vergogna per un intimo parallelo. Ma le disgrazie portano anche inquieti viaggi nella propria dimensione. A rileggersi. E magari a pensare che non valeva neanche la pena scriversi così. E’ una trama di stanchezza. E di spietata autoanalisi.

INCUBO TYPEPAD: Grazie Amanda e una nota per tutti

Grazie Amanda per i tuoi suggerimenti.

E grazie a tutti coloro che ancora intervengono qui.

OLTRE AD ESSERE INVISIBILE, RIPETO, NON POSSO COMMENTARE QUI E SUGLI ALTRI BLOG: TYPEPAD NON FUNZIONA, NON RISPONDE AI MIEI SOLLECITI, IGNORA OGNI LAMENTELA, NON FORNISCE SPIEGAZIONI…

Cari amici blogger vi leggo, questo mi è consentito.