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16/08/09

Commenti

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Chris

La lingua è patrimonio di un popolo, parla della sua storia, ne perpetua tradizioni e modi di pensare, è un essere vivente soggetto ad evoluzioni che nasce e muore con il nascere ed il morire del popolo stesso. Scorri le parole, le strutture di una lingua, grammatica, etimologia, e saprai ricostruire le vicende della civiltà di cui rappresenta l'equivalente del dna. Torna indietro nel tempo, osserva la lingua di 20, 40, 100 anni fa: è un viaggio sorprendente.

Poi ritorna ai giorni nostri, e chiediti che fine ha fatto, e cos'è mai successo perché l'italiano si trasformasse in quest'accozzaglia di detriti sparsi, di neologismi generati ed affossati col nascere ed il morire delle mode, di parole andate in disuso nel nome di una non ben chiara 'semplificazione'. Chiediti come sia possibile che questa lingua sia usata ancora così diversamente nelle varie parti della penisola, al punto di fondersi nelle varie regioni con le lingue locali dando nascita a dialetti poco comprensibili al resto degli italiofoni, ed essere rimpiazzata dall'inglese non solo nel compito di evoluzione di qualunque lingua che si rispetti, assegnare nuove parole a nuovi concetti e nuovi oggetti, ma anche in quello di comunicare idee ordinarie.

Perché? Perché è una lingua adottata per un popolo artificiale, per un'Italia che in quasi due secoli non è mai riuscita a rimanere a lungo qualcosa di più che la famigerata 'espressione geografica' di lontana memoria e lungimirante concezione, per italiani che parlano le lingue locali in casa e l'italiano lo assorbono dalla televisione, lo scrutano nella scuola obbligatoria, lo ricordano negli atti pubblici, lo usano con approssimazione e disattenzione nel comunicare con i connazionali come fosse una lingua franca, un Esperanto ufficiale che vige dalla Valle d'Aosta alla Puglia, dal Friuli alla Sicilia, nei vecchi gruppi etnici, piemontesi, veneti, sardi, siciliani come in quelli nuovi, albanesi, slavi, arabi (nessuno si senta escluso, come sempre).

Ed in una situazione mondiale che vede l'affievolirsi dei confini al ravvicinarsi degli stessi, di un mondo dove nessun punto è davvero distante ed ogni luogo diventa importante in pari modo, non è detto che sia un male - in fondo, siamo un esempio di tollerante società multietnica da più di centocinquant'anni, così tollerante da non imporre neppure l'uso della propria lingua come requisito essenziale per la cittadinanza.

victor

ascolta, inizio a pensare di avere io dei problemi di comprendonio. ti chiedo, senza ironia, di condensarmi in due righe la tesi che sostieni in questo pezzo: ti giuro che non ci ho capito un'emerita mazza.

ciao

gobettiano

La questione dei dialetti non è roba seria. E' robaccia per far rumore. L'italiano si è storicamente affermato ed è mezzop di unione e comprensione in tutto il paese. Il dialetto è sempre stato affidato alla memoria dei vecchi che lo trasmettevano ai figli ed ai nipoti. E non è mai morto, anzi!
luigi

irenespagnuolo

victor sbaglio o non ti risulto mai chiara?! ti chiedo personalmente scusa, più di questo non so fare :)
Ciao!
Irene

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