Someone’s gotta go: comunque la pensiate la realtà e il reality continueranno a fondersi fino a fondere il nostro cervello.
Che la fantasia ormai ha dato forfait, decisamente surclassata dalla impietosa potenza delle febbrili concretezze. Tutto vero e tutto finto.
Il confine, forse, lo scopriranno i posteri ammesso che trovino tempo e costume per dare una lucida lettura della nostra traballante cultura. Ammesso insomma che non siano figli perfetti del nostro delirante volo.
Someone’s gotta go è il nuovo programma choc in cui i partecipanti, tutti colleghi di lavoro, decreteranno chi dovrà essere licenziato dall’azienda. La crisi partorisce anche giochi cinici. D’altra parte la vita ci abitua alle spietatezze della verità e dell’animo umano, alla legge feroce della sopravvivenza, ai meschini abissi delle debolezze. Ecco, ci voleva solo l’omicidio di quella sorta di solidarietà tra pari che ancora circola, pur con qualche fatica. Accidenti il nemico siamo noi. Una guerra senza esclusione di colpi. Con l’esaltazione estrema del coraggio di affermarsi, ad ogni costo. Perché chi sa salvarsi il posto facendo escludere il compagno di lavoro mostra virile la sua determinazione.
Mancano le parole, davvero.
Perché alla fine questo è il conto che siamo chiamati a pagare.
La sottile psicologia del massacro dovrebbe stare nella logica del migliore. Quello che sa difendere la sua occupazione, che mostra la grinta giusta per battere e abbattere tutti, quello che non si arrende. O il crudele e bestiale stratega, acido, arido, insensibile. Al punto di farsi felicemente terra bruciata intorno.
Se Someone’s gotta go non prevede prove di abilità e competenza professionale, a fare la differenza saranno pelo sullo stomaco, artigli d’acciaio, spirito glaciale.
Chissà forse è l’ultima spiaggia. Quella di liberalizzare gli ultimi bassi istinti. Come a piazzarci tutti davanti a uno specchio implacabile. Uomini davanti a quello che possono essere o diventare.
The show must go on: anche la disoccupazione e la disperazione possono alimentare la macchina tv, il tritacarne sociale. Con un risvolto positivo. O almeno interessante. Forse a Someone’s gotta on scopriremo i vari modi di guadagnarci le aspettative, di meritarci i riconoscimenti. Altro che diritti intoccabili e tutele sindacali. Altro che comode certezze. Precari fino all’ultimo respiro. Ecco, magari vogliano farci incontrare l’essenza dura e cruda delle cose…Non sarà più cattivo il capo ma l’uomo tout court.
Lo so, il percorso è davvero umanamente e culturalmente abominevole. Ma questo ce lo siamo andati a cercare, con avvilente perseveranza. Tutti vogliamo fare chiasso. E se lo facciamo in tv siamo felici come bambini con il balocco dei sogni. E allora…dovremo solo rassegnarci al reality più aggressivo della storia.
A me spiace molto. Non so come cavarmela con il disagio che mi urla dentro. Però vivo qui e ora, in questo circo assurdo che fa spettacolo di tutto. Devo ingoiare il rospo. E, se mai, incrociare le dita. Potremo risalire dopo aver toccato brutalmente il fondo?
Se il destino è scritto nelle stelle, se un disegno c’è, noi camminatori della Terra e sulla Terra non possiamo farci più male di quello che è previsto. Se invece siamo un po’ artefici del divenire auguriamoci qualche illuminante colpo di genio e cuore. Se mai sbarcasse in Italia Someone’s gotta go potremmo disertarlo, ad esempio.
Per ora attenzione a non finire nel mirino di vicini di scrivania o reparto: anche senza tv in tempi di affanno i luoghi di lavoro possono trasformarsi in giungle. Svelando che la solidarietà si tira fuori solo quando è utile, altro che nobili valori di tutela generalizzata, rispetto, affetto e comprensione.
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