Frecce impazzite, aliti di burrascose tempeste dei sensi.
A parlarne come se fosse amore vengono i brividi. Eppure si presenta con quel nome.
Istinti potenti e feroci che invadono e dominano. Laceranti passioni a senso unico che scatenano il diluvio della rabbia e della delusione. O morbose gelosie che accecano. O sintonie malate e devastanti che intrecciano l’affetto con i tormenti e fanno perdere il lume della ragione.
Imperiosi e brutali impulsi che imbrattano l’anima. E chi capita nella morsa è stritolato da una forza crudele e drammatica. Come si combinino nell’aria certi legami spaventosi, certe attrazioni fatali o certi inquietanti disegni di follia non è dato mai sapersi del tutto. Ci sfugge o siamo noi a sottrarci, inorriditi, alla verità. Perché l’uomo può arrivare a negare la vita, a violentarla, a massacrarla. Perché dietro la lucidità sono in agguato scintille latenti. Perché meccanismi orribili possono governare il pensiero.
Talvolta ci tiriamo indietro, senza fiato, di fronte al male che si compie davanti ai nostri occhi come a prendere le distanze per non fissare indelebilmente l’immagine. Talvolta caschiamo nel groviglio dell’analisi per l’ansia di capire ed è sconvolgente.
Un volto in tv, una notizia sul giornale. Qualcosa che forse ci sforziamo di considerare altro da noi, fuori e lontano. Ma non è così. Sono il vicino di casa, il conoscente, la storia che può arrivare a toccarci. Perché nel mirino possiamo finire tutti.
E ci interroghiamo sulle spinte emotive, sul disastro affettivo, sulle carenze umane, sulle terribili inquietudini psicologiche. Chissà se potevano esserci soluzioni affrontando in tempo i problemi. Chissà se certi dolori avrebbero potuto trovare riparo e cura senza ferire irrimediabilmente qualcuno o qualcosa.
E chissà se dovremmo smettere i panni della paura e del fastidio da certe esasperazioni della mente per evitare di isolarle, di lasciare che maturino fino ad esplodere, per accarezzarle affinché non urlino di disperata solitudine. Forse servirebbe. Magari non basterebbe. Ma potremmo evitare di indignarci, di sorprenderci.
Ad atti estremi compiuti è impossibile non domandarsi da quanto covava quella tragica possibilità. Ed è altrettanto impossibile credere che nessuno avesse nutrito un sospetto o un timore. D’altra parte è assurdo poi mettere il confine tra patologia e normalità cattiva perché il bene e il male sono categorie senza chiusura stagna.
La vita e la cronaca sono piene di istinti letali, di furie strazianti, di pericolose matasse di complicità omicida. Di voci gelide, di sguardi indifferenti, di racconti agghiaccianti. Di microcosmi amorosi capaci di partorire spietati regolamenti di conti.
E noi stiamo lì a cercare tracce di pentimento come se a trovarle potessimo sentirci meglio. Come se il grilletto bastardo non avesse ormai irrimediabilmente sparato. Come se la vittima fosse risarcita dalla sofferenza di chi ha preso la mira. Come se potessimo voltare pagina e dimenticare. Almeno fino alla prossima clamorosa agonia.
A me pare che ci siano bufere che investono certe persone ben prima di quando loro stesse si trasformano in fulmine per le loro vittime. Ma troppo spesso non vogliamo vederlo. Scansiamo il cielo nero e stiamo sotto il nostro raggio di sole.
Per amare occorre amarsi. Per rispettare la vita altrui è necessario dare valore alla propria. Questo è quello che so. Quando si uccide per “vendetta” o per “futili motivi” cosa vuol dire essere sani di mente? Non ammazzo qualcuno per spirito di sopravvivenza, per eccesso di difesa, perché sono in guerra… Infierisco brutalmente per qualche piccolo grande tarlo. E’ un esempio, pongo una domanda.
Certo vengono i brividi a parlarne come se fosse amore. Quel concentrato di forza e di collante è solo un disgraziato scherzo. Se due esistenze tribolate si stringono in un abbraccio il pericolo si moltiplica, forse.
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