C’è un mestiere che esercitiamo o abbiamo esercitato tutti.
Quello di vivere, nonostante tutto.
Paradosso,negazione, contraddizione. Essenza incompresa ed incontenibile dell’esistenza che non si ferma. Bisogno, risorsa, delirio, sostegno.
Come lasciare a casa i problemi quando siamo sul posto di lavoro. O lasciarli in ufficio quando rincasiamo. Come sorridere anche se il cuore è triste. Come armarsi di pazienza quando l’ira ce la farebbe perdere.
Convivere con il dolore, con l’ansia, con il rimpianto o il rimorso. Andare avanti. Parlare, camminare, agire. Indossare una maschera, di educazione e di cortesia. Di disponibilità, anche. Trovare lo slancio per un gesto di generosità quando dentro non abbiamo energia per noi stessi e per la nostra piccola strada di afflizioni. Ascoltare quando avremmo una necessità disperata di essere ascoltati.
O semplicemente aprire gli occhi e alzarsi al mattino quando vorremmo essere inghiottiti dal sonno.
Nonostante tutto.
Come un campanello che richiama, perentorio, all’ordine.
E’ anche una salvezza, ci ripetiamo. Per non farci arrendere. Agli ostacoli, alla paura, alla disperazione.
Un gioco, un tormento. Dipende dai momenti. Ma è anche una trappola.
Vedo intorno una quantità infinita di volti affaccendati a distendere i tratti per nascondere l’angoscia, di ore e giorni trascorsi in superficie perché il cuore non riceve impulsi di fiducia per aprirsi e perché si corre lontano dalla palude dei grovigli altrui. Come se fosse sufficiente o bello o giusto un umano transito lieve, lievissimo, che non lasci tracce, che non ingombri, che non aggiunga angustia al respiro già corto.
Come se la finzione fosse l’essenza stessa della vita o la chiave della sopravvivenza, almeno. Come se ci fosse una sorta di estetica invalicabile, degli uomini del tempo e delle cose, una forma apparente che ci ostiniamo a credere corrispondente al contenuto.
Ci scambiamo convenevoli e battute spiritose, ci avventuriamo in conversazioni sciocche, ammicchiamo e ridiamo per colmare il vuoto, per non lasciare che qualche spiraglio di luce si infili di soppiatto a svelare i segreti, per non tessere la trama di legami impegnativi e complicati, per difenderci da un nemico non identificato o per sfuggire a stati d’animo pesanti per le nostre membra molli.
Creiamo uno spazio irreale nella realtà. Uno spazio nel quale stare tutti sospesi, come se avessimo le ali e fossimo davvero in volo.
Uno spazio di fittizia serenità. Quella strana combinazione che chiamiamo normalità.
Ma le mie antenne, che talvolta ho tanto odiato, non ne vogliono sapere di scollegarsi. Ricevono ogni segnale, percepiscono un’incrinatura della voce, una mano troppo frettolosa, uno sguardo che si piega in una furtiva malinconia, uno strazio che stropiccia qualche frase. Prendono scariche di sofferenza, di sconforto, di agitazione.
A me non piace stare a pelo dell’acqua. Provo un disagio ben più grande a non lasciarmi trasportare in profondità che a starmene nel rifugio di quelle relazioni quotidiane assolutamente impalpabili. Voglio toccare. E piangere. E abbracciare. E accettare che l’altro sia anche urlo, rabbia, avvilimento, follia.
Voglio che le parole abbiano senso. Come i sentimenti, come le sensazioni, come i turbamenti. E che passino, tra le mani e gli sguardi che si incontrano, come linfa per esistere. Non ci è dato che vivere, nonostante tutto. E’ vero. Ma possiamo almeno farlo in pienezza, con l’anima presente e autentica, e non sempre e solo navigando in quel miserabile e stolto laghetto artificiale.
Che bel post Irene.
Non cambiare neppure di un millimetro. Senza partecipare, senza sentimenti, senza emozioni, senza condividere è vegetare non vivere.
luigi
Scritto da: gobettiano | 31/07/08 a 21:08
Hai scritto una pagina bellissima, carissima Irene!!
Essere come sei tu vuol dire mettere in conto anche la sofferenza ma per l'autenticità è un prezzo che si paga ben volentieri.
Del resto nessuno ci ha garantito, quando siamo nati, che la vita dovesse essere appunto una scala di cristallo.
Ti abbraccio come sempre con affetto. Felice notte.Marianna
Scritto da: marianna | 31/07/08 a 22:29
grazie del tuo post...è sempre importante riconoscere i propri pensieri in qualcun altro...mi sono sentita meno "sola" nella quotidiana lotta che è la vita...un abbraccio
Scritto da: Laura | 01/08/08 a 13:29
E' vero Irene che spesso ognuno di noi cerca di crearsi uno spazio irreale, di benessere artificiale dove convivere solo con gli aspetti positivi della nostra vita, lasciando fuori tutto cio' che ci disturba, forse e' l'unico antidoto per difendersi da un sistema che non sempre condividiamo ma con il quale nostro malgrado dobbiamo fare i conti giornalmente.Forse,in alcune occasioni, indossare una maschera, sorridere e trovare uno slancio di generosita' con chi ci sta vicino, anche quando si e' stanchi e avviliti e' una forma di generosita', per non coinvolgerli troppo in momenti negativi, anche se questo inevitabilmente ci fa sentire meno spontanei. Certo e'importante che le parole e i sentimenti abbiano un senso.Comunque complimenti per il post e' molto attuale.Saluti da leo.
Scritto da: leonardo | 02/08/08 a 10:19
Luigi...vorrei ma non posso :))
Marianna, è così, nessuna scala di cristallo!
Grazie a te Laura, meravigliosa sensazione sentirsi compresi...
Ciao Leo, grazie dell'intervento.
Scritto da: irenespagnuolo | 02/08/08 a 10:32
si è perso il mio commento,lo riscrivo.
Vero, anche a me capita di intuire,durante un incontro casuale con persone conosciute,la fretta di andare,la distrazione nella conversazione, come non ci fosse tempo. Sono sensazioni che spesso provo anch'io, durante periodici
stati di ansia. Il problema è che la psiche non è razionale e lucida come la mente,quindi non è per niente facile trovar rimedio,altrimenti credo serebbero tutti entusiasti di ciò. Tu porti a galla problemi da non sottovalutare,li comprendi, ma altri danno per scontato siano solo sciocchezze,non sanno che basta un nonnulla per trovarsi in certe situazioni. è vero che, chi galera non prova libertà non apprezza.
Saluti e buone vacanze.
Scritto da: mauri_58 | 02/08/08 a 11:50
io sono vecchia e sono stata allevata all' antica. Mio nonno mi diceva che noi abbiamo il dovere di essere ' stabij 'cioè apparire sempre uguali, senza eccedere in allegria o tristezza.Questo per non intristire quelli allegri e non offendere quelli che hanno motivo per essere tristi.
Forse è una forma di delicatezza non più attuale.
Scritto da: matilde | 02/08/08 a 19:16
Mauri forse è così, per soffermarsi è necessaria una sensibilità che non tutti hanno...
Matilde delicata davvero la "filosofia" di tuo nonno. Il rispetto degli altri, ecco si non è molto attuale ahinoi !
Irene
Scritto da: irenespagnuolo | 03/08/08 a 10:28
Ma Irene, hai copiato Pavese! :-)))
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 03/08/08 a 22:33
Ma Irene, hai copiato pavese!
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 03/08/08 a 22:35
Dragor che fai mi smascheri ?!?!?!?
:)))
Irene
Scritto da: irenespagnuolo | 04/08/08 a 07:22
VERO IRENE,
il mestiere di vivere impegna tutta la vita, pur con delle differenze.
C'è che vive "in orizzontale": è cioè una persona normale, né bellissima né bruttissima, con un quoziente d'intelligenza medio, che vive una vita normale.
C'è qualche altro che ha qualche optional in più per cui, per vivere una vita normale, deve magari scendere un po, dato che, la posizione in cui si trova, è leggermente sopra la media.
Poi ci sono i disabili, come me per esempio, per i quali il mestiere di vivere è molto faticoso: il disabile, infatti, per cercare di vivere una vita (cosiddetta) normale, deve arrampicarsi (con tutto quello che ha un dotazione), per cercare di arrivare al punto dal quale partono tutti quelli che considerano quel punto normale.
E da li partire (dopo la salita) per affrontare tutte le difficoltà che la vita riserva (e che per il disabile, a volte, sono maggiorate).
Già, chi di più e chi di meno, per tutti è duro il mestiere di vivere, però, tutto sommato, vale la pena di provare. Se non altro per scoprire se ne valeva la pena.
Scritto da: germanoturin | 04/08/08 a 12:47
Germanoturin positiva la tua filosofia...forse la tua forza dovrebbe e potrebbe insegnare molto!
Grazie dell'intervento, è stato un piacere.
Un cordiale saluto
Irene
Scritto da: irenespagnuolo | 04/08/08 a 22:41
Una vita da mediano: Il goal è l'espressione di un momento, il lavoro del mediano è il significato di una partita intera: è la continua presenza, la mancanza d'interruzione, l'assiduità e la costanza e la determinazione di carattere. Una vita da mediano è qualcosa di titanico, di colossale. Il mediano è tecnica e fatica, è sia propulsione sia contrasto: può conoscere la gioia di un goal e l'arroccamento nella difesa; la sua vita rappresenta l'intera filosofia dello stesso gioco del calcio. E' silenzio del pubblico, è attesa di uno sviluppo migliore dell'azione; per gli altri è inconscia sicurezza che qualcuno lavora per te. E' anche l'ultimo passaggio, che svela la vittoria.
Scritto da: Aldo | 04/08/08 a 23:00