Snocciolava nomi, date, luoghi. La conta degli amanti usciva con un tono buffo dal sorrido sdentato. Stupiva più la memoria di quelle rughe che l’eccellenza del successo amoroso. Sembrava un bambino che mette in fila, gioioso, le figurine di una raccolta.
Gino lo seguiva, assorto e divertito. Delle sue gesta era stato qualche volta spettatore in gioventù e ancora adesso a questo pensava, alle imprese di un eroe.
Perché di eroe si trattava per tanti compagni di vita. Lui che aveva preso e amato, lui generoso incantatore di sensi, lui intrepido poeta della passione. Lui che non usciva mai da una porta senza avere un’altra soglia da varcare.
Un curioso personaggio. Con l’aria da vecchio marinaio senza esserlo mai stato, con le mani da pianista senza aver mai suonato, con l’accento di un paese lontano impossibile da identificare. Lui, l’uomo della porta accanto. Quello che ogni giorno con la piccola sporta siede vicino ai gatti dispensando latte e croccantini. Quello gioviale che di osteria in osteria brinda a vinello con tutti senza ubriacarsi mai.
Lucido e trasparente come uno specchio appena pulito.
Aveva portato la sua freschezza e il suo vigore a spasso per le strade del mondo senza cercare in cambio che attimi. Di questo era fiero e felice. Di ogni attimo custodito nel cuore, con una tenerezza da gentiluomo e uno sguardo da ragazzino impenitente.
La sua collezione non era segreta e scabrosa.
Non aveva rubato affetti, non aveva seminato inganni.
Si era presentato schietto e delicato ad ogni appuntamento del destino e non aveva mai osato cogliere fiori proibiti. Rispondeva al richiamo della natura, allegro ed energico. Con uno spirito gonfio di semplicità. Come quel racconto sereno che Gino ascoltava con la faccia imbambolata. Una fiaba di letizia senza fine.
E così nomi, date, luoghi più che un elenco fastidioso di trofei diventava un diario di eventi meravigliosi.
D’altra parte uomo straordinario lo voleva la storia di generazioni, il mormorio divertito al suo passaggio, il cortese sconto di ogni negoziante della zona, l’affettuosa compagnia dei coetanei.
Lui non era mai davvero cresciuto, a dispetto del suo corpo la sua testa era quella di un fanciullo. Lui aveva imparato a lavorare di braccia sotto la guida dei tanti che lo avevano accolto a bottega ma non aveva mai saputo ragionare di tutto, mettere insieme nozioni, elaborare concetti. Si ingarbugliava perfino nelle frasi troppe lunghe, la corsa delle parole doveva lasciargli il tempo di annusarle, una ad una, per riconoscerle.
Quella cantilena infantile, dal ritmo dolce e bizzarro, era anche lì in quella trama lenta e morbida che sfiorava i pensieri di Gino, lieto di goderne. Aveva sempre pensato fosse felice l’uomo rimasto fanciullo nel suo incondizionato amore per gli attimi. E ritrovarlo intatto nella sua beata baldoria di ricordi era un tepore struggente e gaio.
Non si risolveva ad interromperlo, Gino. L’orologio andava e lui avrebbe voluto fermarlo. Restare ancora con lui. Sognare con lui, respirare con lui.
Non si era mai chiesto, come tutti peraltro, cosa ci fosse di vero in quelle romantiche e infinite parentesi che per lui erano attimi, perché da sempre aveva capito che la verità del corpo degli adulti può camminare per misteriosi sentieri, incontrare le fantasie o la magia di un ragazzo e innamorarsi della sua purezza.
Commenti
Puoi seguire questa conversazione iscrivendoti al feed dei commenti a questo post.