Irene Spagnuolo

Capita che Rocco Papaleo...

Capita che Rocco Papaleo sia in scena al teatro Coccia di Novara questa sera con E’ tempo di Miracoli e canzoni di Veronesi-Papaleo con Rocco Papaleo e Alessandro Haber. Lo spettacolo l’avevo visto un anno fa a Milano ma l’occasione è splendida per rivedere lui, l’amico. L’anno scorso infatti ci siamo riabbracciati dopo tanti anni e adesso sarebbe bellissimo trascorrere ancora qualche ora insieme.

Ci sentiamo a gennaio, mi promette che ci incontreremo. Ieri mi arriva una sua telefonata con la quale mi annuncia che approderà a Novara in serata. Capita quindi che ci abbracciamo nuovamente, con lui e con i musicisti che accompagnano lo show.

E avremo ancora oggi per ritrovarci come ai vecchi tempi!

Rocco Papaleo! Quello fedele sul palco, in pellicola e nella vita. Fedele alla sua natura, all’uomo che è, alla sua passione, alla tristezza e all’ironia. Geniale e semplice.

Rocco Papaleo! Quello che appare come la memoria ricorda. Genuinamente forte e fragile. Delicato e malinconico quanto tranquillo e vitale. Mille sfaccettature in una.

Rocco Papaleo! Quello che “ne ha fatta di strada” e sembra sempre ai primi passi come un bambino che ancora deve esplorare e camminare, che non ha paura di farlo, che gode di ogni passaggio, che non chiede di toccare un traguardo, che se lo tocca non ci pensa.

Rocco Papaleo! Quello che conserva intatto lo sguardo trasognato e i tormenti creativi. Non ha pose da attore ma umana inclinazione ad interpretare la vita. Si porge come sempre, stringe volentieri una mano. E ascolta, vuole sapere come stai, cosa fai, se sogni.

Rocco Papaleo! Canticchia quello che io conosco e gli altri no, in un ristorante dove la nostra tavolata non passa inosservata, dove tutti scrutano senza avvicinarsi, incuriositi e increduli. Non ha più in mente tutte le parole ma le cerca, scava nelle emozioni e nella melodia e poco alla volta gli arrivano alla bocca. Ora come allora. Quando una chitarra, la sua verve e quel carisma speciale erano il preludio di un successo.

Rocco Papaleo! Senza toni alti, senza uscire sguaiatamente dalle righe, senza cercare ostinatamente consensi, senza atteggiamenti forzati. Diretto e spontaneo. Come sempre. Lievemente ripiegato sulla stanchezza, a tratti silenzioso e assorto, lento di una lentezza che conserva il ciondolare che rammento aver notato dalla prima volta, assolutamente fluido in ogni istante come se nulla dovesse essere studiato o impostato.

Rocco Papaleo! Personaggio dentro, ecco. Come se non trapelasse altro che la sua linfa, come se non volesse scalfire la sua essenza con l’ebbrezza di attimi da divo ma sfamare il suo amore in ogni momento di contatto con un ruolo che gli fa scoprire un pezzetto di mondo. Come se inseguisse qualcosa per il puro gusto di respirarla, come se non potesse chiedere altro alla fortuna di esserci e di fare quello che sente addosso come un bisogno e un desiderio. Come se avesse sempre un sorriso di gratitudine per il suo “pubblico”.

Rocco Papaleo! L’affetto, la stima, la simpatia che il tempo non ci ha strappato.

Lo guardo, mi guarda e facciamo un tuffo nel passato ma è come se fosse ieri anche se l’età tradisce la realtà. Siamo ancora quei buoni amici che si divertono, che cercano in un rapporto umano ogni senso possibile dell’esistenza. Che non si arrendono mai alla superficialità. Mai.

Rocco Papaleo, grazie.

La tua ricchezza non è un privilegio mio e di chi ti conosce. E’ in scena stasera come tante volte per diventare di molti altri. E’ spesso in una sala cinematografica per toccare tanti altri cuori. E’ tra le pagine di un giornale per essere letta da altre teste. Questo mi rallegra, molto. E spero che il tuo successo esploda ancora, ancora, ancora…

Lo meriti. Ma è soprattutto un dono che molti riceverebbero.

A più tardi Rocco.

Ti seduco

…ma non ti voglio.

E’ la donna fisarmonica, direbbe un amico. Quella che si allarga fino a sfiorare la preda e poi si ritrae in sdegnoso rifiuto. Quella che fa di moina arte per attirare attenzione e godere del successo. Quella che cerca la conferma di piacere e di poter conquistare.

Quella che poi non si concederebbe certo al sedotto qualsiasi anzi…

A conti fatti intende innanzi tutto allettare. Poi prendersi il tempo di valutare. Dopo eventualmente decidere se vale la pena approfondire la conoscenza.

Acquisisce informazioni, osserva, valuta reazioni e comportamenti. E se il malcapitato non fa al caso suo si indigna al minimo tentativo di approccio.

Gettando l’amo si assicura potenziali corteggiatori, che male non fanno alla vanità femminile, e tiene un piede in mille scarpe fino a quando non individua la misura giusta. Il criterio di selezione è soggettivo, gusti e motivi citabili sarebbero un elenco lunghissimo. Ma quello che sorprende è che se ugualmente si muove un uomo, diventa automaticamente un “bastardo”. A lei, alla femmina cacciatrice, tutto è concesso. A lui, all’uomo cacciatore, non si manca di sbattere in faccia che è un bruto in cerca solo di avventure.

E’ vero, i risvolti spesso sono diversi. Lei magari non si concede a tutti i sedotti. Lui se può coglie pronto ogni occasione…

Ma la sostanza del gioco è la stessa. Collezionare “trofei”. Una forse senza arrivare a conclusioni di relazione, l’altro indulgendo più facilmente al piacere mordi e fuggi.

Ammesso insomma che sia ancora propriamente così, che le donne siano farfalle meno avvezze a posarsi e più a svolazzare e gli uomini invece intenti a cercare soste più che a viaggiare e basta, il “romanticismo” è perfettamente livellato al ribasso!

Che poi su questo non ci sarebbe granché di male è pur vero. Basterebbero carte scoperte, meno finti sentimentalismi e comunicazione più schietta e autentica.

Mi piaci, non mi piaci. Ti voglio, non ti voglio. Sono in vena di acrobazie, non le desidero fare. Punto. Invece no…Tira e molla. Come la fisarmonica.

Sarebbe anche carino, intrigante. Lo è sempre stato, si dirà! Ma con uno sbocco, diamine…non con una chiusura assurda tra i due fronti che li fa sprofondare sempre più nell’abisso dell’incomprensione, della sfiducia, dello scontento, dello scontro.

Se un flirt è divertimento, divertitevi. Se innamorarsi è magia, fate i maghi. Non allontanatevi nel buio di una totale confusione di messaggi e giudizi!

Che noia, che assurdità…

E poi se scopriamo che nascono gruppi di persone che “ripudiano” il sesso per scelta, nel senso che non provano interesse a vivere la sessualità, non ne avvertono la necessità, non ritengono sia parte naturale dell’amore o dei rapporti di coppia…ci viene quasi il sospetto che siano nauseati dalle fisarmoniche. O che abbiano trovato l’alternativa “equilibrata” per rapporti sereni.

Non aderisco a questo pensiero e non ho ancora raggiunto la pace dei sensi, sia chiaro. Ma non stento tantissimo a capirli.

Meno tasse

Comunque vada sarà un successo, se crediamo alle promesse.

D’altra parte in questo Paese se proponi tasse eque per tutti a condizione che tutto funzioni ti prendi del qualunquista. Allora funziona ovviamente meglio lo slogan meno tasse tout court. O meno tasse per chi è più in sofferenza, se si cavalca l’idea di attirare la mitica “massa”.

I consumi colano a picco perché soldi non ce ne sono e la mitica “massa” fatica ad arrivare alla terza settimana del mese. E si sa che non sono quattro ricchi a consumare ma la massa dunque se in qualche modo non diamo respiro a quella che fu la classe media, agli operai, agli impiegati, alle commesse si svuoteranno pure le tasche di quelli che sulla folle corsa al consumo hanno campato allegramente. In definitiva a rimettere in circolazione denaro ci guadagnerebbero tutti, teoricamente. Insomma le imprese rivedrebbero entrate più floride, assumerebbero di più e il circolo insomma dovrebbe rivelarsi virtuoso.

A me suona male perché questa è stata la politica dei tempi in cui si stava peggio ma si credeva di star meglio e i risultati sono stati quelli che vediamo oggi: società ripiegata sui beni e sulle apparenze, malessere diffuso, valori in picchiata libera, sbando culturale.

Ma riuscirei a farmelo piacere se ci vedessi uno sbocco positivo reale. Provo a pensarci.

In mente ho tanti negozianti a braccia consorte. Insomma i negozi, molti almeno, sono in crisi: la gente non compra, è un coro collettivo.

Rammento cosa hanno fatto i loro colleghi anziani anni fa quando venne l’ora del cambio lire/euro. E mi monta il sangue alla testa per la menzogna ripetuta ogni giorno…I prezzi sono raddoppiati e gli stipendi invece sono invariati. Macché raddoppiati. Possibile abbiano tutti memoria così corta? Io ricordo perfettamente le magliettine da 10.000 lire passate subito a 10 euro e poi aumentate nelle stagioni successive.

Ci siamo fregati con l’idea del numero piccolo e non abbiamo subito percepito l’abisso, questo ormai si sa. Resta il fatto che i prezzi sono altro che raddoppiati!

E adesso che un nuovo commerciante stia in negozio ad attendere vanamente clienti è tristemente normale…Parlo da una realtà di provincia, una provincia che sta lentamente morendo con un’agonia che strazia il cuore. Ma non credo che le metropoli se la passino meglio, anzi.

Rifletto su tutte quelle indagini per individuare chi nella catena, troppo lunga, di passaggi tra produttore e consumatore, determini rialzi dei prezzi così spaventosi. E verrebbe da applaudire a chi profila un ritorno a rapporti diretti, a colpi di riduzione di intermediari che fanno lievitare il valore della merce. Ma…chi racconta al contadino, che ha convertito la multiproduzione a campi di sole patate o solo pomodori al servizio di grandi marchi, che deve rimettersi a piantare fagiolini, zucche, insalata?

Chi si rimetterebbe ad allevare “umanamente” polli da vendere al mercato rionale quando si è abituato a batterie megagalattiche per industrie del pollame?

Direte che ho deragliato. Dalle tasse a farneticazioni varie.

No, è tutto collegato. O dovrebbe esserlo, in un sistema economico serio. Mi piace usare il termine serio. Perché questo abbiamo perduto: la serietà. Che si traduce in credibilità delle parole e dei “programmi”.

Incentiviamo l’apprendistato, i contratti a progetto e la formazione. Pensiamo che dovranno in tempi brevi trasformarsi in certezze a tempo indeterminato. Bene. Pazienza se nel frattempo le piccole aziende, che sono ormai l’unico grande patrimonio aziendale italiano, avranno chiuso e non ci sarà alcun posto per stabili o precari. Pazienza se i quarantenni o cinquantenni a spasso finiranno sotto qualche ponte perché nessuno promette (neanche la promessa, figuriamoci la garanzia) loro un posto di lavoro.

Meno tasse. Sembra la panacea di tutti i mali.

A me sembra la coda, non il capo. E al capo arriverò, cari politici, nel mio “presuntuoso” intento di accompagnarvi con riflessioni e proposte fino al dì delle urne.

E ribadisco: i quaranta-cinquantenni votano. Vi interessa il loro voto?

Non prendeteci per il naso, allora. Conosciamo il passato, abbiamo cultura ed esperienze professionali ed umane. Non è facile accontentarci con contenitori vuoti.

I piccoli imprenditori votano. Vi interessa il loro voto? Sappiate che “sono alla frutta”. E se chiudono il tessuto sociale ed economico riceverà la mazzata definitiva.

Agenzie per il lavoro

Sono sbucate come funghi in stagione propizia. Agenzie che si pongono l’obiettivo dichiarato di far incontrare domanda e offerta di lavoro…Agenzie che si rivelano talvolta un tragicomico palcoscenico di amare esperienze. Dal punto di vista delle aziende non mi è noto il grado di soddisfazione sul servizio dunque non mi esprimo. Sul fronte dei lavoratori ho raccolto testimonianze decisamente preoccupanti.

Gli addetti alla raccolta dei dati e delle candidature per posti disponibili, quelli che insomma dovrebbero avere dimestichezza con i profili professionali, con le competenze necessarie per certe mansioni, con l’individuazione di quei requisiti che fanno la felice congiunzione tra chi chiede e chi offre sono spesso assolutamente inadeguati a svolgere il compito. Sono giovani o giovanissimi, naturale visto che è uso assumere solo entro certi limiti di età, e rivelano così immaturità, scarsa esperienza, deficit culturale e di apertura mentale.

Non è una “guerra anagrafica”, per carità. Comprendo le loro difficoltà. Ritengo infatti non dovrebbero trovarsi in quella posizione, non è il loro lavoro. Tu, con una valanga di titoli scolastici e di formazione, un curriculum denso di attività complesse, peculiari percorsi lavorativi…dovresti essere valutato in una mini scheda con la quale gli addetti sprovveduti armeggiano faticosamente tra un si, un no e una crocetta?

TI ripetono: che lavoro cerca? mentre tu ti prodighi in spiegazioni e puntualizzazioni. Sintetizzano le tue risposte dimostrando di non aver colto neanche vagamente chi sei, cosa sai fare, per cosa e per chi potresti essere utile.

Se dai segni di sconforto o di irritazione ti trattano come un “pezzente disoccupato” come se i disoccupati fossero pezzenti, come se loro sapessero cosa vuol dire in italiano pezzente, come se loro fossero moralmente migliori di un pezzente o di un disoccupato. Un delirio, insomma. Oppure, quando ne trovi qualcuno paziente ed educato, ti senti esortato nuovamente: ma insomma lei a che occupazione sarebbe interessato? Un posto da chimico le andrebbe bene? Peccato tu avessi appena ribadito che sei estetista e quello sai fare.

Scapperebbe da ridere se la situazione non fosse seria e deprimente.

Se provi ad armarti di self control e di diplomazia per stato di necessità e replichi nuovamente, scandendo bene i termini e avendo cura di chiarire ogni aspetto delle mansioni che hai sempre svolto, degli studi che hai fatto, dei tuoi precedenti professionali a destra e a manca ti senti sbuffare addosso: insomma, io non conosco il settore, francamente non me ne intendo.

Cosa?!? Siete voi gli “addetti”, accidenti! Addetti a cosa vi chiedo? A non sapere che genere di lavoro è l’architetto o la commessa o il saldatore o la ragioniera? E stuzzicandovi si comprende che non sapete bene cosa voglia quel datore di lavoro che vi ha dato l’incarico di cercargli del personale, che diavolo si faccia nella sua impresa, nel suo studio, nella sua bottega…esattamente come non sapete che chi vi siede davanti in quel momento è proprio la tanto agognata “persona giusta”.

Invito tutti a non tirar fuori chi, come e perché abbia tanto voluto questo “intermediario” inefficiente. Sono qui per partire da zero e guardare avanti!

Cari politici, questo è il secondo argomento. Volete fare pulizia seria di questi centri assurdi che allontanano il lavoro dal lavoratore e che rischiano di spedire un idraulico in uno studio notarile a battere atti e una segretaria a fare impianti elettrici? O volete almeno fare in modo che queste agenzie possano assumere a pari costi addetti con un bagaglio un pochino più solido magari anche in ragione di qualche capello bianco?

Ma quanto è produttiva una chiacchierata diretta tra un possibile datore di lavoro e un aspirante lavoratore voi lo sapete? Non rispondetemi che è una scelta delle aziende rivolgersi a queste agenzie, che potrebbero pubblicare un annuncio sul giornale, mettere un cartello fuori dal cancello…Sapete benissimo perché oggi tutti corrono in queste agenzie. Il bubbone sta nei contratti e negli oneri relativi. Provvedete!

Volo d'amore

Mi piaceva volare. E mi piace ancora.

Mi curvo un po’ come se fossi vecchia e fuori posto quando il costume è proprio quello che a me disgusta o non capisco. Ma l’ironia riesce a non farmi morire perché contiene la sensibilità e la speranza e forse queste armi bastano a non far morire la forza.

Mi piaceva volare. E mi piace ancora.

Vorrei chiudermi tra le righe per lasciare che la tempesta impazzi lontano e non mi ferisca. Ma alla fine mi bagno perché voglio esserci, quasi come se non fosse possibile fare un viaggio che non conosca gli ostacoli e le peripezie.

Mi piaceva volare. E mi piace ancora.

Certo mi accorgo talvolta di essere fuori e di guardare dentro qualcosa che non mi appartiene, mi sfugge, mi indigna, mi intristisce. Ho letto troppo, ho pensato troppo. Ho sognato e creduto troppo. Come se la colpa fosse mia. Come se quello che è brutto fosse solo un incubo dello sguardo deviato da assurde passioni.

Non è vero che c’è sempre un punto di equilibrio, forse.

O non è detto che umanamente si possa intuire dove e come.

Eppure l’amore riesce a non spezzare le ali. E rende ancora il vigore e la voglia del volo. Perché questo è tutto, il resto è fatica di sopravvivenza.

E per quello che affanna il respiro l’unico rimedio è sentire l’abbraccio del cuore.

Vagando per la strada incontro quella dimensione che non avrei mai desiderato conoscere, che forse mi auguravo non esistesse. Ma è lì. E tanto vale scavare per cercare di capire, dare colpi illudendosi di poterla demolire, prendere in mano qualche istante di buono se c’è, sentire la puzza per apprezzare ancora di più il profumo.

Non è che sia facile volare quando tutti ti inseguono con le lame pronte a tagliarti gli strumenti. Ma è molto più difficile rinunciare alla propria linfa e desistere.

Mi perdo in quel tuo essere un grande bambino e sento che sono davvero nell’aria, che posso ancora volare. Che comunque sia ha un valore speciale quello che avverto, quello che mi ha portato nell’azzurro del cielo.

Non è morte che separa dalla terra. E’ vita che si ostina a non sprofondare nella terra.

Mi piaceva volare. E mi piace ancora.

Se scruto tra le pieghe inquietanti di ciò che non oso considerare il senso dell’esistenza è perché serbo ancora la brama di un divenire che spezzi il maleficio. Nelle parole trovo un conforto che traduce il benessere che monta nello spirito negli istanti in cui tocco la gioia. E tu che sei la gioia non rabbuiare gli occhi. Non mollare, mai. Perché se anche bruciassimo in volo sarebbe sempre un grande momento ricordare che non abbiamo sciupato noi il sogno.

Mi piaceva volare. E mi piace ancora.

Ed è questo che rende gli istanti di gioia eterni ed infiniti. Ecco, non sono istanti, sono la musica che mi accompagna sempre.

Per questo non mi rassegno a questo spazio umano che trovo gabbia ingiusta e inospitale. Per questo lotto. Per questo alzo la voce. Per questo punto il dito. Per questo spoglio le apparenze. Per questo esprimo malessere e disappunto.

Macché presunzione di sapere. O di aver ragione. O di essere “migliore”. E’ solo bisogno di armonia, alito vitale.

Non si può amare e non amare la vita. Per quanta amarezza possa portare il cammino, è l’amore a darti fiducia.

Mi piaceva volare. E mi piace ancora.

43 anni? Sei out!

L’annuncio è chiaro: cercano un certo tipo di professionalità, buona conoscenza della lingua italiana scritta, autonomia, capacità organizzative, esperienze in campo amministrativo e della comunicazione…e una serie di altri requisiti non propriamente comuni.

Mi presto al gioco per verificare se è vera una storiella che circola. Conosco e quindi mi propongo direttamente e facilmente. Bene! L’interlocutore sprizza entusiasmo da tutti i pori. Altro che colloquio e selezione, par quasi voglia assumermi sui due piedi. Non ha dubbi sulla mia perfetta aderenza al profilo richiesto. Anzi, si dice onorato…

Lusinga a parte, medito nel poco tempo a disposizione. Insomma faccio passare mentalmente le mie conoscenze di tutti i campi per i quali desiderano preparazione ed esperienze lavorative e, insomma, sono più modesta nel giudizio del mio potenziale “capo” ma comunque penso di potermi lanciare nell’avventura.

Si, mi sono calata nella parte seriamente, altro che gioco!

E’ fatta. Giusto per il rispetto formale delle procedure devo comunque recarmi nel tal posto alla tal ora e limitarmi a compilare con l’addetta la scheda dei dati personali.

Pochi minuti davvero…Infatti mi presento, fornisco le generalità e vengo “automaticamente” esclusa addirittura dalla noiosa prosecuzione di domande, risposte, crocette. Ho 43 anni!

“Il nostro team è composto di persone dai 18 ai 30 anni, mi spiace!”

Che a 18 o 30 anni si possa aver accumulato quel bagaglio di competenze ed esperienze, un peculiare processo di formazione e possedere un elenco di caratteristiche che ho evitato di citare per non individuare troppo le circostanze, è francamente una piacevole sorpresa: ci sono casi prodigiosi in giro…

Ma resta  quella frase come un tarlo: un team “chiuso” di super esperti: dai 18 ai 30 anni. Gli altri sono out!

D’altra parte questo conferma molte altre testimonianze e situazioni verificate proprio da me: ci sono problemi di precariato dei giovani e c’è il buio assoluto per i quarantenni, rei di essere vecchi in cerca di lavoro.

Nella giungla dei nuovi contratti mi viene in mente per puro esempio quello a chiamata, tanto in uso tra ristoranti, bar, strutture alberghiere e simili, ambiti nei quali è normale che ci siano giorni di maggior lavoro per i quali occorre personale aggiuntivo. Bene, questa forma contrattuale è applicabile per i minori di anni 25 e per coloro che hanno superato i 45. Vent’anni di vuoto! Come se un cameriere di 30 anni fosse un fantasma.

Cari politici, da oggi inauguro questa sezione che durerà fino al giorno delle votazioni: suggerimenti per i vostri programmi. Sono certa che vogliate considerarli e approfittarne!

Quando riuscirà l’Italia ad avere una vera politica del lavoro? Quando, per citare le questioni più banali, un negozio non sarà costretto ad assumere una ragazzina perché costa meno, quando fianco a fianco da buoni vicini di scrivania in un’azienda potranno convivere come neoassunti un ventenne e un quarantenne con reciproco scambio e crescita. E così via.

E scongiuro tutti di non tirarmi fuori la menata del negoziante che vuole risparmiare, assume l’apprendista e poi si lamenta che non è capace…una volta, forse! Adesso i negozianti che vedo tutto il giorno tutti i giorni hanno le tasche vuote, le braccia conserte, i debiti sulle spalle, l’ansia per il futuro. Non vogliono, devono risparmiare.

E’ ora di cambiare. Molto. Cari politici, approfondirò, non potrete dire che non eravate stati avvisati.

Se balli ti picchio

La storia del ragazzino picchiato perché danza mi fa orrore. Altrettanto me ne fa il fatto che non riesce a stupirmi. Intravedo segnali analoghi di intolleranza ogni giorno. Non assisto a pestaggi ma a violenze psicologiche sicuramente. Che poi ho scritto intolleranza ma non so se davvero si questo si tratta…

Vedo ragazzini che non possono lanciare un’occhiata di desiderio a un romanzo senza essere raggiunti dal ghigno beffardo degli amici, vedo ragazzine derise perché vestono senza capi alla moda, vedo ragazzini che tengono segreta la passione per la musica se è fuori dai canoni del branco. D’altra parte vedo gli sguardi illuminarsi mentre tengono in pugno l’ultimo modello di cellulare e le crisi isteriche per i yeans griffati che ancora non sono entrati nel loro guardaroba.

Non è un panorama confortante.

E così è facile che gruppi di ragazzini arrivino ad emarginare gli “sfigati” o a picchiarli perché tutto sommato sono “liberi”, di studiare, di impegnarsi in qualche attività, di coltivare un sogno. Isolare o insultare chi non si omologa, chi serenamente intraprende un percorso autonomo e magari gioioso. Non sono casi estremi. E’ una realtà forte, inquietante.

E non nascondiamoci dietro la storia che i bulli ci sono sempre stati, come i leader o i “secchioni”. Valutiamo la portata del fenomeno di oggi. Fermiamoci a guardare e ascoltare i ragazzini… Senza catastrofismi, per carità. Ma anche senza stolte indulgenze, paraocchi o indifferenza.

Un commento ad un mio post di qualche settimana fa parlava di ragazzine che per uscire con qualcuno chiedono quasi il reddito della famiglia e comunque squadrano ben bene i vestiti e gli accessori dell’aspirante accompagnatore, inclusa la macchina ovviamente. I toni sembravano esasperati. Ma sapeste quante volte ho udito con le mie orecchie racconti di questo tipo e viste scene di sdegno di donzelle infastidite dall’idea che un loro “spasimante” potesse essere un “bravo squattrinato”…!

Che diffuse aspirazioni siano diventare calciatori, tronisti, veline o eroi da GF non sorprende più anzi sembra un noioso tormentone che vuole puntare il dito contro la gioventù. Macché. Ne vorrei di giovani che amano lo sport, che si preparano al mondo dello spettacolo con corsi di danza, dizione, recitazione, canto…Giovani appassionati, pieni, entusiasti. E’ il gusto della scorciatoia appariscente che genera sbando. E’ il bisogno assoluto di prendere la vita a morsi che sgomenta.

Possiamo dunque considerare straordinario un episodio di violenza verso un ragazzino “colpevole” di studiare, suonare, danzare?

E ogni volta che scrivo ragazzino mi tremano le dita sulla tastiera. Conosco uomini e donne di 30 anni che si trascinano per una settimana in attesa di un venerdì sera in discoteca. E non sono qui a demonizzare le discoteche, andiamo! Ci andrei volentieri anche subito a fare quattro salti…Ma che sia l’unico faro, l’unico “divertimento”, l’unico grande momento di euforia francamente è molto diverso.

Sono quelli che hanno la “noia dentro”: leggere no, giocare con gli amici no, fare giardinaggio no, disegnare no, collezionare no, andare in montagna no, il teatro no il cinema neanche…Forse a 30 anni non picchiano chi fa tutto questo ma comunque non lo frequentano. Insomma gli “sfigati” a qualunque età sono i normali, questo è il punto.

E non ci aiuta continuare a negarlo. Anzi.

Avete mai raccolto la “testimonianza” di un ragazzino sfigato di 16 anni? Io si. E’ un tipo simpatico, intelligente, curioso, ricco di interessi, abilissimo in molti hobby. Ha un solo problema: è solo, molto solo. Ma almeno non ha ancora preso botte, dice.

Avete mai visto un 17enne carino, educato e tranquillo alle prese con diverse 15enni “scatenate”? Sembra un film di Brass e Argento insieme ma non puoi cambiare canale o uscire dalla sala.

Filadelfo Giuliano: Ritorno in Sicilia

Una trama intrigante che si muove tra le pieghe di una Praga moderna e il ricordo struggente del suo passato, di affetti e relazioni che si rivelano un groviglio di dolore e fallimento, di un mondo torbido e inquietante di malaffare e squallore.

Angelo torna a Praga dopo molti anni alla ricerca di un improbabile manoscritto in ceco di Kafka e da qui un tuffo nel passato, lo sbandamento di una nuova passione, lo sfondo kafkiano che lo accompagna in sogno, la delusione e il grottesco susseguirsi di eventi e incontri che tradiscono la memoria, i sanguinosi risvolti sono un crescendo di amarezza e fibrillazione.

Un noir con la vocazione del romanzo e la potenza dell’indagine socio-culturale. I personaggi, i luoghi, la forza della letteratura, il pensiero caloroso per la terra della radici, ove Angelo tornerà dopo l’avventurosa parentesi praghese, le ferite della vita hanno corpo e peso nella narrazione, come tasselli perfetti di ogni momento, di ogni passo di Angelo.

Filadelfo Giuliano è padrone della scena e sembra quasi fotografarla e respirarla più che narrarla. Muove le parole con maestria, come ad accompagnare la storia al lettore, con la sagacia di chi conosce l’atmosfera, le strade, la ferocia e la tristezza che sbiadisce lo splendore e il garbo di chi non usa forzature per catturare e affascinare. Le pagine scorrono nella loro tensione naturale, in una malinconica disperazione e in un travaglio complicato che avviluppa i personaggi in un fatale declino.

La prosa asciutta, essenziale non ricorre a toni esasperati, lascia che sia la realtà a svelare il dramma, la perfida burla, il disincanto, la brutalità. L’angoscia di Angelo fa rabbrividire ma altrettanto drammatica è quella dimensione perduta che ha bruciato entusiasmi e brame di gioventù in una Praga “altra”, sepolta dal progresso e dalle mutazioni troppo veloci e radicali.

Singolare la presenza kafkiana che Filadelfo Giuliano inserisce come filo conduttore, in tasselli che fanno capolino a sottolineare un passaggio, a predire uno sviluppo, a gettare luce o ombra sinistra…

Angelo lascia Praga e la sua sfida sconvolgente e torna in Sicila, a Portopalo. “Là dove finisce l’Europa e comincia l’Africa. Là dove soffia un vento caldo che toglie il respiro.”

E’ un bel libro. Si legge d’un fiato perché scorre avvincente e misurato come un noir d’autore. Ti emoziona quel profilo sottile e tagliente che Filadelfo Giuliano traccia dei personaggi, ti coinvolge il respiro storico su Praga e sulla sua profonda metamorfosi, ti resta l’amarezza dei desideri che si infrangono contro il muro della cinica concretezza.

Non ci sono più gli “amici praghesi”, non c’è il manoscritto ceco di Kafka.  E l’attrazione per Pavlina si risolve in un terribile epilogo.

La felicità e il riscatto non sono afferrabili…In questa mestizia inquieta c’è la fierezza di Angelo ma c’è anche il limite della verità, il disagio per ciò che non può più essere, il fardello di un presente che rompe la dolcezza della memoria.

Credo che in Ritorno in Sicilia ci sia molto dell’amore di Filadelfo Giuliano per quella grande Praga che smaniosamente il tempo ha offuscato e la sua febbrile voglia di conservarne nel cuore, intensamente, la suggestione. Ma anche, accoratamente, la consapevolezza del divenire inarrestabile.

Da leggere!

Edizioni Azimut, Ritorno in Sicilia di Filadelfo Giuliano (Fino).

Revival anni '70

E non è che può arrivare solo con un paio di pantaloni a zampa di elefante. E neanche accontentandosi di rispolverare qualche canzone che poi, per la verità, non è mai uscita dai cuori. Non basterebbe neppure il graditissimo ritorno dei Barbapapà o qualche altro ripescaggio di quel “mitico” decennio.

C’è ben altro a far sentire nell’aria certa atmosfera di quegli anni. E’ una questione alla quale non possiamo sottrarci: corsi e ricorsi storici, Vico docet…

D’altra parte non è che l’austerity non possa essere alle porte. E la bufera sull’aborto imperversa come allora. Insomma forse facciamo i conti con quel che è stato e non abbiamo davvero superato, con quello che ci è piaciuto così tanto da volerlo nuovamente rivivere, quello che abbiamo generato e non abbiamo poi saputo gestire.

Certo qualcuno penserà a quei movimentati e difficili anni con nostalgia. Altri con timore. Altri con qualche presentimento brutto. Altri ancora con curiosità. Di quel decennio denso e intenso abbiamo letto e sentito tantissimo e di allora molto è eredità consolidata, molto spina nel fianco, molto irrisolto conflitto, molto ricordo entusiasmante.

Sogni e conquiste, euforia e cambiamenti, crisi e crescita. Anni sudati, pieni, faticosi e ricchi per chi li ha vissuti. Anni affascinanti e interessanti per chi è venuto dopo e se li è ritrovati ovunque, in ogni piega dello studio o del lavoro o della memoria culturale e sociale. Costume e cultura. Economia e diritto.

E ritrovarsi in questa situazione, così diversa e così uguale, è una sfida, un’ironia, una iattura o un’occasione, chissà. Tutto torna. E non è solo un rigurgito del passato. E non è solo ciò che è irrisolto che presenta il conto. E non è neanche solo un’ondata di rimpianto. O forse è tutto questo insieme ma mescolato in uno strano modo, senza un bilancino che dosi bene ingredienti e quantità.

Perché in fondo il revival piomba addosso un po’ per caso e un po’ per necessità. E’ la storia che si ripete. Ma siamo anche noi che ritorniamo al passato perché il presente non decolla verso il futuro. Magari i guru della moda si ripresentano con stampe a fiori perché colti i segnali di un tempo che fu hanno pensato di vestirci in modo conseguente…

Se dovessi affrontare davvero il tema dell’aborto lo farei con un post dedicato e sarebbe comunque poco. Qui ne prendo spunto solo per una riflessione che ha con il revival grande attinenza. Allora si discusse aborto si o no e perché per arrivare ad una legge che stabilisse come e quando. Oggi il dibattito riparte praticamente da zero. Un revival in senso stretto dell’argomento. Come spesso accade nel Bel Paese d’un tratto ci si accorge che una legge non è applicata, applicata male o variamente interpretata. Per anni nessuno ne parla e poi uno si sveglia un giorno e mette a soqquadro tutto. E così è ovvio che taluni lo avvertano come un caos strumentale, come una zampata infame a un punto fermo.

La legge è legge! E qui sta il punto. Tutti dibattono e pochi la conoscono, evidentemente. L’acceso confronto è ancora sul tema, non sul testo di legge, non sulla concreta attuazione. Ed ecco che non basta un tempo e il suo revival se il nocciolo è sempre trascurato…Allora pezza fu. E adesso la pezza fa acqua.

Vogliamo aprire un nuovo dibattito sull’aborto o vogliamo valutare il testo della legge, verificarne il livello di applicazione e l’impatto reale?

Non lo capisco. Insomma al di là di comprendere che siamo alle prese con i soliti vizi tutti italiani, mi areno di fronte alle rigidità collettive. Lasciamo perdere i giochetti politici, si sa che ognuno fa leva su un tasto o oppone resistenza strenua per attirare consensi da una parte o dall’altra, parliamo tra noi. E facciamolo dopo aver letto la legge 194/’78. Secondo me sarebbe davvero importante.

Nuove da typepad

Mi ritrovo questa mattina a lasciare (o meglio a cercare senza riuscirci) un messaggio sul blog Minima Moralia. Provo per ben tre volte. Compare Anteprima del commento…e lì si pianta, insomma non lo pubblica. Ma non ho puntato sull’opzione anteprima, su quella post! Insomma lascio perdere e decido di far presente il caso a demata, del blog Minima Moralia tra i commenti al mio blog di seguito a uno suo nella speranza passi di qui a leggere. E, sorpresa…! Vedo confermarsi lo stesso “inghippo”!

Ecco una nuova birichinata dell’amico typepad.

E così ciao ciao commenti…!

Bene, scriviamoci addosso…e guai a chi pensa di lasciare il suo pensiero in calce a un post, vietato.

Uffa!