L’amore può sopravvivere alla morte: mi piace ricordare quanto splendidamente si racconta da Marco Giacosa. Ma l’amore può anche non resistere alla vita quando è in corso. Può interrompersi, bruscamente, con l’off di un interruttore che spegne la luce. O lacerarsi e consumarsi lentamente in un’agonia cervellotica ed emotiva sfibrante.
Capita che fulgide stagioni di coppia vengano archiviate come amori del passato.
Capita che nuove grandi passioni offuschino completamente il ricordo delle precedenti.
Capita che quello che abbiamo vissuto come amore si sveli ad un altro incontro solo come una pallida e poco riuscita imitazione.
Capita che il primo amore non si scordi mai solo perché legato alla bellezza della gioventù. Capita che l’ultimo amore sia sempre il più importante.
Capita che ci si fermi a pensare a quanto il nobile e profondissimo sentimento sia inesorabilmente vissuto da ciascuno con un bagaglio e un’intensità diversi. Capita che ci si fermi a pensare a quanto gli esseri umani tendano a valutarne il valore e il calore in base a ciò che ne ricevono più che a quello che provano.
Capita tutto e il contrario di tutto.
Perché se dell’amore si è detto e scritto da che è nato l’uomo, dell’uomo si è fatto altrettanto e in entrambi i casi senza poter arrivare a verità assolute.
E’ successo a tutti o a tanti di toccare il cielo con un dito e di ritrovarsi poi un giorno con i piedi per terra accanto ad un sentimento che non svolazzava più nel cuore. E’ successo a tutti o a tanti di pensare o pronunciare un “per sempre” che poi ha rilevato la sua fallacia.
Forse molti hanno lungamente riflettuto su quanto possa davvero essere infinito l’amore. E molti si sono posti la domanda: di amore può essercene uno solo o possiamo più volte innamorarci nel corso della vita?
Ciascuno se ha risposto l’ha fatto probabilmente sulla scorta di esperienze concrete, di convincimenti personali, di sensazioni e sogni legati alla propria esistenza. Spingersi ad osare affermazioni cosmiche è così arduo da indurre tutti alla prudenza.
D’altra parte quanto la cultura e la società imponevano modelli di stabilità più forti e intransigenti era anche francamente poco realistica una meditazione obiettiva e autentica. La progressiva erosione di quei modelli, la “libertà” conquistata, la facilità di percorsi assai più articolati e movimentati ha mostrato quanto labile sia anche il legame delle anime che si scelgono.
E così si sono affacciati il disincanto, lo scetticismo, addirittura il cinismo talvolta.
Restano saldi forse solo l’istinto, in costanza, di sentirlo come un bene prezioso e inebriante e la speranza che lo stato di grazia che ne deriva non si esaurisca. Ovvero di vivere l’amore, quando c’è, come se fosse quello e solo quello, l’amore con la A maiuscola insomma.
Certo non è pochissimo…
E peraltro fatico a concedermi l’arroganza di sapere che c’è qualcosa che può farmi asserire con certezza che ciò che provo oggi resterà immutato per tutti i giorni della mia vita. Al più coccolo quel qualcosa dentro di me! Eppure credo che potrebbe avere forza e validità per tutti o molti…
Mi accorgo che spesso l’amore è definito o cercato o sentito in termini di benessere. D’impeto convengo. Poi mi rendo conto di intendere cosa diversa. Non trovo che l’amore sia legato alle condizioni positive e felici che tanto lo rendono entusiasmante… Questa può essere un’unione, diciamo una coppia. Ma l’amore è ancora di più, molto di più. Per questo può sfidare il tempo e la sorte.
Per questo porto sempre nella memoria cara la storia di un uomo che amò una donna fino a quando gli si chiusero gli occhi anche se quella donna l’aveva lasciato da moltissimi anni e aveva ad altri aperto il cuore. Un uomo che non ebbe in vita neanche per un attimo un pensiero o una parola “brutta” nei confronti del suo amore, un uomo che non ebbe in vita neanche la tentazione di dimenticare, di scalfire, di offendere il lieto sentimento che tanto lo aveva rapito. A quella donna dedicò solo affetto e stima, in silenzio. A quella donna non smise mai in vita di pensare come il solo possibile amore.
Mai dubitò della sua sublime magnificenza. Mai nutrì rabbia o rancore e men che mai disprezzo…Mai. Mai le rivolse qualcosa che non fosse un omaggio di devozione.
La non corrispondenza di “amorosi sensi” apre le porte a spazi bianchi tutti da riempire, di idee, desideri, ricerche, esami, meditazioni…
Come per l’amore che sopravvive alla morte così per l’amore che proseguiva caparbiamente nonostante non trovasse vita in comune, venne a troppi chiedersi se fosse frutto di un bisogno dell’uomo aggrapparsi con ogni energia ad un sogno, ad una carezza del pensiero, ad una testarda emozione, ad un’illusione di gioia inesauribile.
Venne a troppi, a parer mio.
Perché a troppi occorre la materia per dare significato ai moti dell’anima. Perché a troppi viene spontaneo dubitare che ci siano ardori senza scadenza. Perché a troppi viene necessario associare l’amore a quello che ti rende lieve, praticamente, il cammino. Perché a troppi è impossibile spiegare che l’amore non è quello che si piega al comando del naturale egoismo degli esseri umani.
Magari per quei troppi è meglio così. Orgoglio, “voglia di vivere”, diritto di serenità, appagamento e aspettativa di letizia sono i motori che li tengono in piedi.
L’amore che sopravvive alla morte è accettato da tutti come una romantica dolcezza del ricordo, anche se si sospetta celi il disperato tentativo di esorcizzare il dolore…
E’ molto più difficile accettare l’amore che sopravvive alla vita che scorre senza portare dentro l’amato o l’amata?
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