Così scherzava sulle svendite Macario, qualche decennio fa.
Ma loro, sconti e ribassi, sono ancora qui, saldi più che mai. E ancora ci crediamo. O almeno così vorrebbero quelli che ci mostrano il 2 gennaio come la panacea dei guai del portafogli in lacrime. Il 24 dicembre un abito costa una cifra spropositata e una settimana dopo per magia diventa un vestito da bancarella accessibile alle tasche meno gonfie…Ma è uno scherzo o realtà che supera la fantasia?!
Insomma, sta pure in una logica di mercato che le collezioni in esaurimento o l’ultimo capo o le taglie rimaste a fine di ogni stagione vengano proposte a prezzi ritoccati. Dove impera la moda è chiaro che l’abito l’anno dopo rischi di diventare un evidente e snobbato avanzo di magazzino. E allora tanto vale proporlo addirittura al prezzo di costo, giusto per non rimetterci.
Ma che veramente i commercianti espongano prezzi proibitivi e poi calino le braghe in giorni di saldi non dimostra altro che il guadagno dei tempi normali era francamente troppo elevato…perché in linea di massima, si sa, pure l’oggetto in liquidazione consente un margine di ricavo. Un margine che evidentemente non basta tutto l’anno perché…fino a quando si può spremere la borsa altrui si fa senza ritegno!
Non me ne vogliano i negozianti. Non è periodo d’oro neanche per loro. Ho modo di rendermene conto. Ma è proprio per questo che comprendo ancora meno. Evitare di moltiplicare per due o per tre o per quattro tutto l’anno, appiccicando cartellini con prezzi adeguati e onesti, è davvero impossibile? Non ci credo. E’ solo un’insana pratica ormai circolante nel sangue quella di calcolare un ricarico che non sta più né in cielo né in terra, se è vero come è vero che le vacche grasse sono estinte o quasi…
D’altra parte i consumatori, quelli che si ritengono furbi perché aspettano i saldi, perpetuano quest’operazione folle. Magari si ritrovano nel guardaroba una firma invenduta perché non ha trovato consensi ma la sfoggiano come se avessero spaccato il mondo con una ventata di astuzia inimitabile. Oppure comprano in saldo e poi con l’amica davanti alla vetrina fingono l’indignazione snob: ma come? Io per quel cappotto ho dato duecento euro in più qualche settimana fa, che schifo così possono permetterselo tutti, non è serio questo negozio! O nella migliore delle ipotesi si affannano ad accaparrarsi oggetti che non useranno solo perché “sono convenienti”.
Invece se disertassero i negozi nel mese di gennaio per esempio indurrebbero di certo qualche riflessione molto vicina alle mie.
Il colpo sarebbe duro, lo so. Il denaro deve circolare, lo so. Non è bene augurare la crisi ai negozi, lo so. Ma chi e quando si deciderà finalmente a ragionare in termini generali e un po’ meno frenetici e ciechi?
La folle corsa agli acquisti subirà una battuta d’arresto inevitabile. Laddove non l’ha già subita, s’intende. E probabilmente porterà la depressione da povertà ed emarginazione. Perché a questo hanno condannato il nostro cervello: se non hai, non sei. Se non compri, non esisti. Se non stai al passo con l’ultimo modello di tutto, sei emarginato. E il peggio è appunto il lavaggio subdolo: se non spendi, blocchi l’economia.
Andiamo! L’economia è nella palude. E ancora stiamo a fare la guerra tra consumatori e negozianti? Macché. Dobbiamo allearci. Capire che siamo nella stessa miserabile condizione di uomini e cittadini in difficoltà. Combattere, insomma. Fianco a fianco. Dimenticare per sempre l’italico vizio di credersi vittoriosi fregandosi reciprocamente.
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