Leggo Giacosa e torno ad attorcigliarmi su alcune riflessioni.
Leggere, scrivere. Chissà se tendiamo sempre a leggere quello che in qualche modo ci piacerebbe scrivere. Chissà se scriviamo sempre pensando a quello che ci piacerebbe leggere.
Fuori dai contenuti e dalle posizioni che esprimiamo, lo stile è molto rilevante. Certo. Ricevo, che gioia!, commenti molto lusinghieri da tanti lettori.
Rilevo che ciò che piace sopra ogni cosa è il viaggio nelle storie della vita, nell’animo umano, nelle sfaccettature della personalità, nei meandri dei pensieri e delle emozioni. E piace perché le parole rendono tutta la profondità di attimi colti, di osservazioni sensibili e accurate, di grande attenzione ai percorsi umani, di instancabile ricerca del senso delle occasioni, dei sentimenti, dei desideri, delle sofferenze, delle gioie.
Incontrano gradimento il ragionar delle cose scavando, lo spessore di certe indagini sulla natura dell’uomo, il tono fermo ma garbato, avvolgente. L’arte del racconto, si potrebbe dire. Ma in verità è soprattutto il moto dello spirito, acuto ma dolce.
Si apprezza dunque il girovagare nelle menti e nei cuori delle persone, il sorriso su certi attimi indimenticabili, la commozione per qualcosa che stringe il petto, l’arguzia con la quale è dipinta una situazione. E lo stile. Lo stile con il quale tutto questo è reso. Intensità e delicatezza, sono le due parole chiave, decisamente illuminanti per spiegare cosa colpisce e garba.
Ricevo anche, e fortunatamente poche volte!, la critica di chi trova bontà e morbidezza a profusione. Come se scrivessi melense favolette. E come se lo stile fosse volutamente levigato.
E penso soprattutto a quelli che non si soffermano neanche su quello che scrivo. Non coinvolti dagli argomenti, forse. O decisamente respinti dalla forma.
D’altra parte è un lungo discorso o meglio un discorso senza fine. Il taglio di un pezzo è condizionato da una quantità enorme di variabili. Penna, circostanze, contenuto, motivazioni. Maggiore o minore coinvolgimento personale. Passione per un tema. Scopo ed eventuali destinatari possono addirittura determinare modalità espressive molte diverse. Una lettera all’amato o un pezzo di cronaca sono mondi distanti anni luce.
Eppure c’è qualcosa che è come un marchio. Lo stile. Quello che, pur in sfere assolutamente differenti, emerge da qualche dettaglio, da un tocco singolare, come un’impronta dalla quale è impossibile separarsi.
I gusti svelano molto delle persone. Nonostante siano tantissimi gli elegantoni che arricciano il naso di fronte a qualsiasi intemperanza di linguaggio, alle espressioni forti, allo stampo assolutista e brusco alla fine i duri godono di rispetto e credibilità. Insomma pare ovvio che impetuosità grezza e toni tosti facciano il paio con purezza e schiettezza. Viceversa la sobrietà, la gentilezza stilistica, gli angoli smussati paiono celare misteriose falsità o esasperati equilibrismi. Al sano spazio del dubbio, all’innata pacatezza, al temperamento indulgente e forse ad un pizzico di avveduta saggezza intellettuale ed emotiva si guarda talvolta con ghigno sprezzante o con insofferenza.
Se poi vogliamo parlare di genere è chiaro che un giallo richieda uno svolgimento incalzante e intrigante, non solo nella trama ma anche nell’esposizione…ma lo è altrettanto il fatto che probabilmente si infila nella stesura di un giallo chi ha un certo approccio, una certa visuale, un certa tendenza e una certa tecnica.
Saper cogliere un aspetto o vedere da un’angolazione insolita e tratteggiare qualcosa con fulminante sagacia o con sferzante ironia è dote o frutto di esperienza o gioco di destrezza.
Le abilità espressivi sono opere sul palcoscenico. Ciascuno può gradire, sbadigliare, apprezzare ma non emozionarsi, ridere ma dimenticare presto, scappare.
Eppure pare strano. Le qualità, il talento dovrebbero avere un riconoscimento quasi unanime. Potrebbero insomma non vederci rapiti ma ottenere indiscusso rispetto. Invece non accade sempre. Questione di stile. Punti di vista. Pregiudizi, anche.
Scrivi bene ma non puoi piacere a tutti…Appare affermazione banale. Poi ci pensi e ti chiedi : scrivere bene cosa significa? Scrivere correttamente? Scrivere in un modo che è considerato speciale? Scrivere come e quello che qualcuno vuole leggere? Scrivere dimostrando la propria unicità? Scrivere male ma avere quel “non so che” che ispira, coinvolge, travolge, incuriosisce?
Lo stile deve rispecchiare lo scrittore e lo scrittore deve dare emozioni.
Il tuo stile è splendido proprio perché dà emozioni e lascia vedere che dietro di esso c'è una bellissima persona, una grwande anima.
Poi, è logico: lo stile non va considerato immutabile, deve cambiare a seconda del genere e, soprattutto, cambia col cambiare della persona che scrive, col suo accumulare esperienze di vita ed esperienze narrative.
Anche per lo stile, dobbiamo sempre essere dipsosti ad accettare e a praticare i cambiamenti.
Scritto da: Gian Contardo | 26/11/07 a 11:13
Non tutto ciò che si scrive può piacere ed essere condiviso, resto comunque del parere, che la cosa principale, per noi stessi, è scrivere per il piacere di scrivere. Ciao!
Scritto da: piero | 26/11/07 a 12:07
Io credo che si scriva per il piacere di scrivere, in primis, ma anche per il piacere di condividere pensieri ed emozioni che hanno l'urgenza di essere espressi.
Tu dici che "Saper cogliere un aspetto o vedere da un’angolazione insolita e tratteggiare qualcosa con fulminante sagacia o con sferzante ironia è dote o frutto di esperienza o gioco di destrezza", io penso che un insieme di questi ingredienti e la loro corretta "miscelazione" (termine orribile, non sono una scrittrice) fa' si che una persona possa definirsi "scrittore".
Sono anche d'accordo con Gian Contardo, il tuo stile e' splendido come la tua persona.
Scritto da: cenerentola | 26/11/07 a 16:15
Cara Irene, come avevo scritto nel mio post "Perché Indro Montanelli non sapeva scrivere", scrivere una frase è come affrontare una curva in Formula 1: c'è un solo modo ottimale di scriverla, tutti gli altri restano dietro. Quando lo hai trovato, hai scritto la frase perfetta. Ma se vuoi essere un artista, sei soltanto al punto di partenza.
Mi unisco al coro degli elogi: il tuo stile è splendido... :-)
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 26/11/07 a 18:19
La parte che preferisco di questo post è quella finale. Pregna di domande alle quali tu hai già dato le tue risposte.
Stile, non stile, quale stile...già lo sai non sono in condizione di dare consigli. Da tua affezionata lettrice, posso solo dirti che prediligo la delicatezza con cui descrivi le emozioni, i sentimenti. Ma sopra ogni cosa quel che sai comunicare e che arriva dritto al cuore.
ciao Irene!
Laura
Scritto da: guardami negli occhi | 26/11/07 a 22:59
Dunque, la scrittura.Potrei scrivere sullo scrivere un romanzo e poi ricominciare.Due cose solo, anzi tre.
Mia mamma ,bravissima in latino e matematica, si trovava impicciata quando mi doveva lasciare un bigliettino e sorrideva di me,la sua figlia con la mania di scrivere.
Non capiva da dove venissero le parole, e dire che mi ricordo che era cosi' precisa nel linguaggio, cosi' corrretta.
Nel 1980, a Mirandola di Modena, sostituivo una signora che poi mori', e con lei-una bolzanina tutta d'un pezzo-si parlava di scrittura.
Lei diceva:'la scrittura delle donne è un piagnisteo,tutto quello che i dilettanti scrivono è gia' stato detto.'Questa sentenza razionale mi freddava, mi pareva un argine forzoso alla vita.Terza cosa:direi che le parole stanno dentro alle cose, cioe', la vita supera le parole, occorre solo scovare i vocaboli giusti per dirla.
Scritto da: Anna Rosa Balducci | 27/11/07 a 19:52