Irene Spagnuolo

Strega comanda color...

Il gioco lo ricorderanno in molti, credo. E oggi è il giorno giusto per spolverarlo. Halloween ! Raduni di stregoni e vampiri ovunque e serata popolata di mostri, ragni, pipistrelli…All’insegna del nero e del rosso con il tocco arancione di tante splendide zucche!

Abbiamo adottato questa festa che non apparteneva alle nostre tradizioni. O forse ci è arrivata addosso, come tutto, per le ragioni commerciali e consumistiche alle quali sembriamo destinati a non sottrarci più. Costumi, teschi, candele sono business !

D’altra parte il solletico funziona perché accogliamo prontamente ogni occasione di evasione, ammettiamolo. La festa, qualsiasi sia, rompe la tensione delle nostre affannose giornate, predispone agli incontri e alla baldoria. Risponde ad un bisogno : fermarsi allegramente. Non importa se la vigilia si trascorre in frenetica ricerca di maschera e trucco come fossero assolute priorità da rincorrere, quello che conta è concedersi una serata di magia.

Questa sera horror e fantasia si comporranno felicemente in bizzarri travestimenti e per qualche ora non ci sarà spazio per la paura dei ragni! Ecco ad Halloween si esorcizza il terrore irrazionale per ragni e pipistrelli…Pure il conte Dracula sarà simpatico e non mieterà vittime. E ad Halloween i fantasmi circoleranno, finalmente visibili, per le vie delle città!

Gli incubi, tutti insieme, diventano realtà godibile e gioiosa. E in questo gioco del travestimento un po’ carnevalesco c’è la voglia di uscire dai propri panni, di sfidare le tenebre, di calarsi nella vita dei signori della notte e del mistero.

E’ proprio la notte dei brividi…

Con un pizzico di cattivo gusto ci si può divertire con poco, se vogliamo. E’ Halloween!

La follia della normalità

Visto che non possiamo avvalerci del prezioso supporto di terminologia corretta usiamo parole e riferimenti che conosciamo bene, che percepiamo nel loro significato concreto. Mi scuso anche se ricorrerò ad un uso massiccio di virgolettato, non ho altri mezzi per non dover nervosamente rispondere poi a tutti coloro che vorranno fare le pulci, inutilmente, sull’uso improprio delle parole.

Lui aveva gravi problemi psichici, all’inizio turbe del comportamento, disarmonie relazionali, grosse difficoltà affettive e uno scarsissimo equilibrio mentale. Non volle saperne di curarsi, come la maggior parte dei “malati di mente” non voleva assolutamente accettare di esserlo e tanto meno di recarsi da uno “strizzacervelli”. Peggiorò rapidamente, allontanandosi sempre più dalla realtà, diventando aggressivo e provocatorio, rifugiandosi in un mondo “altro” che non aveva alcun possibile contatto con quello comune.

L’arroganza, la violenza, l’indifferenza e l’insofferenza si acuivano vertiginosamente. Non aveva dialogo con alcuno, lo rifiutava con sprezzo. Non aveva interessi che potessero in qualche modo tenerlo su un percorso umano avvicinabile, comprensibile. Non manifestava sentimenti, emozioni. Era scostante in tutto e viveva in una dimensione primitiva, quasi selvaggia.

Dimentico della famiglia e anzi vigorosamente in conflitto con ogni tentativo di aiuto da parte di genitori, sorella, figlia lui sembrava sempre e solo arrabbiato, sconvolto, agitato, confuso. Ogni approccio con lui si risolveva in brusche e spaventose reazioni. Faceva paura, molta paura.

Un giorno lui scompare. Nessun medico lo aveva visitato, nessuno dunque aveva diagnosticato di cosa fosse affetto e se ci fossero terapie adeguate e possibili per una guarigione o per un miglioramento. La denuncia di scomparsa mise tutti di fronte all’atroce risvolto di quella già pesantissima e dolorosa situazione. Lui era maggiorenne, ufficialmente sano di mente in quanto non esisteva il “bollo” della malattia, non restava che considerare la sparizione come volontaria fuga.

Nessuno in famiglia aveva diritto a sapere dove fosse. Neanche la figlia, maggiorenne e indipendente. Lui non doveva essere cercato. Vano l’impegno della famiglia dunque per spiegare alle forze dell’ordine che non risultava ma era pericolosamente “fuori di testa”.

A me purtroppo non sorprende. Si tiene  abitualmente conto della “volontà” di  uno schizofrenico, per esempio, per rispettare la sua dignità….Si cela così sotto il riguardo alla volontà della persona, al suo intimo sentire, una menzogna ignobile. Il rispetto è altro ! Il rispetto è non mentire. E’ non nascondersi dietro un dito. E’ capire che certi stati psichici hanno bisogno di sostegno. Il rispetto è ascoltare chi vive loro accanto per sapere davvero cosa fa, cosa dice, com’è la persona “fuori di testa. Il rispetto è non lasciare solo il malato e i suoi cari. Il rispetto è smetterla di atteggiarsi ipocritamente ad amorevoli protettori del “libero arbitrio” della persona.

Rispetto è intendere bene cos’è la volontà. Quale volontà ? Quella dominata dal male ? Quella indotta dalla lacerazione ? 

Non vi è rispetto nella cieca negazione del devastante smarrimento.  

LIBERTA' PER PAR PAR LAY

Per la storia di Par Par Lay rimando al meraviglioso post di Homing Pigeon.

Spero che viaggi in rete un urlo, composto ma vigoroso : libertà per Par Par Lay!

Mi auguro che molti si uniscano all’appello.

Può accadere che scompaia Par Par Lay. Può accadere che chi dovrebbe e potrebbe non ne parli...

Quando finiranno i terribili casi come quello di Par Par Lay?

Quando il potere smetterà di cucire le bocche?

E quando il silenzio degli "onesti" smetterà di essere così rumorosamente fastidioso?

I tuoi occhi

Dylan era il tuo sguardo sul mondo, la tua guida nelle vie della vita.

Era addestrato, Dylan. Un cane per ciechi, di quelli che diventano luce nel buio, sostegno nel cammino, speranza nella disperazione.

Serio, attento, diffidente, per proteggerti. Mai un passo falso, mosse eleganti e prudenti, fiuto infallibile.

Ma a casa Dylan, chiusi fuori dalla porta molti pericoli, diventava un giocherellone. Il tuo giullare, dicevi. Sembrava addirittura suonasse qualcosa per te quando ti abbaiava in quel modo inconsueto…

Dylan ti guardava come se tu potessi vedere la sua dedizione, il suo trasporto, la sua gioia. Dylan, sempre al tuo fianco. Dylan, intelligente, sensibile, prezioso. I tuoi occhi, lo chiamavi talvolta, affettuosamente. Era la tua bussola !

Quando è morto hai pianto lacrime incontenibili. Ripetevi che vi eravate amati troppo per potervi separare…Non era solo i miei occhi Dylan, dicevi. Dylan era un amico.

Hai accettato Rudy con rabbia, solo perché ti servivano i suoi occhi. Ma non volevi legarti a lui, non volevi ci fosse complicità oltre quella necessaria, non accoglievi il suo muso tra le mani come facevi con Dylan. Lui non era Dylan e questo bastava a irrigidirti, a non offrirgli l’opportunità di arrivare al tuo cuore. Usavi un tono brusco con Rudy e, appena potevi, gli lasciavi intendere che non avevi bisogno di lui.

Ma Rudy ha aspettato. Ti è stato accanto con ostinata ma delicata pazienza. Ubbidiente, straordinario, zelante ma quieto nell’entusiasmo, discreto, silenzioso. Quand’eri triste e stanco sulla tua poltrona in salotto Rudy ti appoggiava una zampa sulle ginocchia, proprio come Dylan…

Rudy ti ha accompagnato sereno e clemente. Ha atteso, con garbo e lealtà. Passo dopo passo, fatica dopo fatica, aiuto dopo aiuto. Fedele e speranzoso.

Fino a quel terribile temporale. Avevi paura tu, dei temporali. I tuoni fragorosi ti mettevano addosso una brutta inquietudine. Rudy si è avvicinato, ha cercato le tue mani perché tu accogliessi il suo muso…Tu, come facevi con Dylan, l’hai accolto, finalmente. E l’hai stretto a te, piangendo. Scusami Rudy, hai mormorato. E ti è parso per un attimo che Rudy abbaiasse come Dylan, una musica solo per te.

L'altra verità

Leggi e rileggi la tua confessione. Falsa. Scritta sotto una terribile pressione alla quale non hai potuto, non hai voluto sottrarti.

Dentro c’è tutta la lucida disperazione di chi ha massacrato la vita e crede di trovare respiro aggrappandosi alla libertà.

Ogni parola è una pugnalata. Riprovi tutto. La paura, il disgusto, lo sgomento. Orrore, orrore. Ti scoppiano in testa quei momenti drammatici, le lacrime, le urla. E rivedi la smorfia di disprezzo di chi ti interrogava. Domande su domande, come se non bastasse ammettere e consegnarsi. Ricordi lo sforzo immane di mentire, di essere credibile, di non tradirti. L’angoscia che strozzava la gola, spezzava la vita, oscurava la luce.

Leggi e rileggi la tua confessione. E non hai alcuna voglia di uscire da quel dolore. Lasci che ti scorra dentro, che ti levi il respiro, che ti tolga le forze.

Vuoi rimanere colpevole. Forse è assurdo, pensi. Ma sei sicuro, sicuro di non poter lottare. Non hai più energie. Non credi di doverle trovare.

Non per la giustizia, non serve : lui non ha pace, il tormento lo insegue, lo violenta, lo brucia. Non per te, non lo desideri : ti hanno creduto tutti alla fine e dunque forse nessuno ha bisogno di te, della tua innocenza…Ecco, avresti voluto che smascherassero la tua menzogna, che rifiutassero di considerare la tua ammissione come possibile.

Leggi e rileggi la tua confessione. Nella mente, con la mente. E non pensi ad altro che a convincerti, a morire di quella lenta agonia, a consumarti nel buio. Fuggi da chi ti ha creduto, fuggi dalla verità che gli altri hanno voluto vedere. E fuggi da te stesso, dal tuo sconcertante segreto. Leggi e rileggi la tua confessione perché finisca nella tua memoria, come brandello reale del tuo passato.

Hai il cuore gonfio di lacrime. E dell’aria non ti importa. Là, fuori, non staresti meglio. Sei sconvolto. Tutto è morto. E tu sei in attesa.

Scandalosa rete

I blog sono diari on line, sfoghi di isterici esibizionisti. I blog sono spazi di notizie assolutamente non verificate e quindi inattendibili. I blog sono maldestri tentativi letterari, solitamente non degni di lettura.

Questo e di più abbiamo raccolto negli anni da intellettuali snob che non avendo dimestichezza con un computer, altro che con internet, non potevano che affossare il fenomeno per non tradire la loro inadeguatezza. Alcuni giornalisti arricciavano inorriditi il naso solo a sentir pronunciare la parola, come se un blogger fosse un nemico, il blog l’attentato alla loro professione. Alcuni politici hanno scelto un’ostentata indifferenza, anche solo parlarne avrebbe riconosciuto importanza ai blog quindi meglio fingere che non esistessero. Alcuni scrittori ne hanno aperto uno guardandosi bene dall’interagire con blog di comuni mortali, guai ad alimentare l’idea che qualche collega blogger potesse avere la stoffa dello scrittore…

Una protesta, una posizione, una riflessione come una freccia dall’arco scocca, corre veloce di blog in blog, la potenza della rete si dilata. Il mondo è a portata di click e i blog si rivelano una risorsa. Accanto all’inutile o al becero, come ovunque, ci sono blog originali, stimolanti, meritevoli di grande considerazione. Un blog supervisitato porta addirittura in piazza gli italiani.

Testate nazionali, come questa, fanno largo ai blog ospitandoli nella pagina dei lettori. E d’altra parte in rete da un po’ fanno capolino tutti, per non essere arretrati, per godere di visibilità, per mostrare di avvicinarsi alla “gente”. Ma comunque, sia ben chiaro, nessun “ruolo” è con ciò riconosciuto. E sono d’accordo. Voci libere. Ogni blog è espressione personale. Il mezzo consente diffusione, questo basta.

Così in Italia, dove si legifera su tutto, nessuno si prende la briga di dettare le norme per aprire o gestire un blog. Libertà di pensiero e di opinione, non servono regole. Per eventuali scorrettezze o reati compiuti via blog si può benissimo intervenire con quanto l’ordinamento già abbondantemente prevede.

E poi, diciamolo, sono solo pagine schizofreniche di illusi con manie (e smanie) di protagonismo. I blogger non hanno titoli per guadagnarsi credito. Lasciamo si godano il loro posticino al sole artificiale…

Macché. Siamo più letti e temuti dell’immaginabile. Siamo pericolose mine vaganti. Non ci invitano in tv, non siamo famosi. Eppure siamo “penne virtuali” che traducono menti pensanti. Siamo possibili veicoli di informazioni, opinioni, meditazioni.

Così capita si “inciampi inavvertitamente” nei blog, per una svista. Salvo poi correre ai ripari autodenunciando la propria sprovveduta leggerezza. Per carità, nessuno vuole limitare i blog !

Che qualcosa non accada non basta a levarci il fiato sul collo. La spada di Damocle, anche solo sguainata e poi riposta, è brutta cosa. La levata di scudi l’ha tenuta a bada. Ma il principio è lì. Oppure, e non è poi tanto meglio, è nell’assoluta carenza culturale che fa ancora della rete un buco nero nel quale non si sa cosi si celi.

Bavaglio o errore, mi danno i brividi entrambi. Una caduta rovinosa, non c’è che dire.

E a questo punto dovremmo pure andar fieri dei nostri insulsi diari on line da megalomani…O fanno tremare o sono così sconosciuti da far passare noi blogger italiani per avanguardisti senza frontiere !

I signori non ricevono

Apre la colf, rigorosamente filippina.

I filippini sono affidabili e fedeli, è un coro unanime tra i signori che ancora hanno in casa domestici. E poi fa esotico ma non troppo.

I signori sono in casa ma non hanno tempo e voglia di visite. C’è qualcuno importante per cena, sono in pigiama, si stanno preparando per una serata di gala, insomma hanno un motivo per non essere disturbati. Loro hanno sempre un motivo per governare i momenti e le occasioni.

L’insistenza disorienta anche la filippina, affidabile e fedele, di lunga esperienza nella casa dei signori. E’ abituata a quelle poche parole. Sa che fanno subito effetto e che nessuno oserebbe non prenderle nella dovuta considerazione.

Non ricevono, no, i signori non ricevono prova a ripetere con tono quasi allarmato, come se quella ostinazione nella ricerca fosse una pericolosa molestia. Loro, i signori, sono perentori negli ordini. Loro, i signori, sono avvezzi ad essere obbediti. Ha paura, la filippina. Teme di non essersi spiegata con toni sufficientemente convincenti.

Un pensiero passa fulmineo nella mente : come è arrivato lassù ? In portineria qualcuno deve aver consentito l’accesso. Lei è il secondo filtro, il primo non ha funzionato.

Accosta un po’ la porta, riesce a infilare la catenella che la blocca, parla nuovamente dallo spiraglio di luce che resta : non posso farla entrare.

Ma l’intruso esibisce un tesserino. La colf è disorientata. Chiude a chiave.

Il campanello suona ancora, più volte, più forte.

I signori si alterano. Con voce grossa e adirata la invitano a far smettere quell’insolenza.

Ha un tesserino, dice la filippina, ma nessuno ascolta.

Riapre appena la porta, la catenella le dà sicurezza, i signori non ricevono, la prego se ne vada immediatamente. Parla un italiano quasi fluido…ma balbetta e ha gli occhi spaventati.

Non è più solo l’intruso. Ci sono altri tre uomini, in divisa.

Non si cura di richiudere a chiave, corre nel salone : signora, sono in divisa.

La signora non urla più, sta piangendo, guarda il marito con un’aria di rimprovero e disprezzo. Il marito ha perso la sua grinta nella sua posa scomposta sulla poltrona, si prende la testa tra le mani con gli occhi nel vuoto…

I secondi sembrano lunghissimi minuti.

La filippina, affidabile e fedele, torna alla porta. Un attimo, attendete un attimo.

Ritratto letterario

Arrivi, lui ti osserva. Poi un po’ di conversazione e ancora qualche occhiata intensa, a distanza. Dopo qualche ora sbuca con un ritratto letterario, così lo chiama.

Invece di usare il pennello, ti ritrae con la penna : in versi, in frasi, in brevi giochi di parole. Carpisce qualcosa dai tuoi gesti, dal tuo modo di ascoltare, di sedere, di muoverti. Ogni risposta alle sue domande o alle sue battute è un dato utile per le sue elaborazioni.

Fissa la prima impressione e poi affonda la lama con i pensieri che sono derivati da uno scambio, da un sorriso, da un piccolo discorso pronunciato o da un silenzio imbarazzato…

Il tuo vestito, le tue mani nervose, la tua ironia, i tuoi occhi vivaci, la tua reazione a uno stimolo sono tracce. Di te, del tuo stato d’animo, dei tuoi gusti, della tua personalità.

Lui le segue. Sei proprio tu, senza saperlo, a guidarlo nel cammino. Quando mangi, conversi, lo chiami, ti guardi intorno. E’ attento ad ogni mossa, intento sempre a cogliere i particolari…

Quando ti legge il ritratto sei investita per un attimo da un vento penetrante. Come se fossi esposta nuda alla frescura della notte autunnale. Ti ha scrutato, spogliato. Si è intrufolato nelle tue ore di allegria o di disagio, ha intuito i tuoi moti di gioia e fastidio, ha cercato qualcosa di te che sfidasse il tempo e la circostanza. Ha voluto sapere chi sei.

Ti accorgi che non lascerai quel luogo da sconosciuta.

Magari la sorpresa è piacevole. Ma comunque ti senti violata o vulnerabile o trasparente. Insomma ti chiedi cosa “ti abbia tradito”. Come se l’attenzione e la sensibilità fossero armi contro la tua corazza. Tu pensavi di celare meglio la tua natura…

La strana sensazione lascia il posto ad una profonda emozione, bella, bellissima. Avvolta dall’abbraccio del calore umano non hai più freddo. E finalmente sai che non tutto scivola via, che non tutti sono distratti.

Ecco perché non è un posto per tutti. E’ l’angolo di chi cerca istanti preziosi, di chi ha voglia di godere dell’umanità.

Così anche in un ritratto bizzoso e sferzante trovi l’autentico spirito di conoscenza degli uomini. Così anche di una caricatura insolente ridi con il cuore.

Fatemi la festa !

Mi raccomando, intendo una di quelle allegre feste a sorpresa con tanti volti cari che sbucano da ogni angolo per auguri e brindisi, con una cartolina musicale, una telefonata, un biglietto, un pensierino, un abbraccio…!

Non ho l’età per organizzarne una con tanta euforia, d’altra parte non ho l’età neanche per smarrirmi all’inesorabile fuga del tempo. Sono in cammino, in quella fase della vita in cui hai realizzato di essere “grande” ma dentro ti senti “piccola”. La mia età anagrafica in nulla corrisponde a quella che sento davvero e per la verità, fortunatamente, neppure a quella apparente !

Sono un felice caso di ragazzina che ha superato gli anta.

E oggi mi ritrovo a raccogliere la pioggia di auguri dolci e bizzarri di amici vicini e lontani con l’emozione di sempre. La signora Lia si ostina a ripetere che è assurdo festeggiare il compleanno, che è uno sciocco tributo al tempo che passa, che è una baldoria inventata per buttar fumo negli occhi…eppure è stata tra le prime persone a farmi gli auguri e a girarmi intorno con l’aria gioiosa di chi vuole celebrare la ricorrenza!

Ho addirittura il sospetto che stia tramando con altri per regalarmi una giornata piena di effetti speciali…

Lia, come mai ?

So che ti è difficile sorridere ma cerchi di farlo sempre con tutti.

Lia, dai, così mi strappi la lacrima…

No, qui finisce che mi commuovo io.

Lia, non è da te !

Ti ho conosciuto quando non ci credevo più. Tu hai resistito, intatta, a chi se ne è andato…

Lia ti ricordo una frase che mi hai ripetuto mille volte : non so dove vivi, ma sicuramente non in terra…E’ tutto in queste parole, Lia. So che ti indignano certe cose ma chi vive in terra non può farne a meno, forse. Non soffrire, almeno per me. I tuoi auguri…ecco i tuoi auguri sono speranza, sogno, calore, felicità !

Ma da dove sei uscita ?!?

Una voce dietro di noi scioglie in risata il toccante momento : dall’uovo di Pasqua!

Se c’è un omaggio che voglio proprio dedicarmi per il mio compleanno è questo : “è stato molto arduo arrivare fin qui come sono e conosco le discese che renderebbero più agevole il presente e il futuro ma non desidero percorrerle, nonostante il dolore finalmente penso che voglio restare esattamente così”.

Così ho incontrato l’amore. Il pulcino balzato fuori dall’uovo di Pasqua è ancora tra le braccia di chi l’ha accolto con il cuore.

Auguri, Irene!

Guardone

Seguiva, si appostava, spiava, per professione. Un mestiere sconcio, diceva, ma d’altra parte viviamo in un mondo di cornuti…Come se il tradimento fosse il suo pane quotidiano, il senso dei suoi impegni e la garanzia dei risultati raggiungibili.

Quanti più infedeli finivano nel suo mirino tanto meglio era per la sua gratificazione professionale e la sua serenità economica.

Più volte più che far cadere nella trappola si era sentito intrappolato, all’inizio. 

La realtà lo aveva messo di fronte al terribile groviglio di passioni, vendette, perfidie. Interessi, ambizioni, stordimenti, infatuazioni sembravano governare i mille umani percorsi che scopriva, osservava, fotografava. Ogni volta che aveva sperato di incontrare un limite, un confine invalicabile, un’estrema spiaggia di pudore e lealtà si era invece brutalmente ritrovato in una terra crudele e ostile.

Gli anni e l’esperienza avevano affinato il fiuto e d’istinto imboccava la pista giusta raggiungendo a grandi passi la prova di un adulterio o smascherando un doppiogiochista.

Fiero dei suoi successi e certo di averne ricavato una conoscenza profonda degli uomini e delle loro relazioni, sembrava muoversi con il consapevole disincanto di chi ha smesso di provare fiducia autentica. Aveva toccato l’inimmaginabile, sentito l’inenarrabile.

Certe scene viste con gli occhi sgranati facevano impallidire film e fantasie. Certi brividi di disgusto non potevano essere dimenticati. Questo era quello che considerava l’orribile risvolto. Non c’era più nulla che lo sorprendesse davvero, nulla che si sentisse di considerare impossibile.

Ma credeva fosse anche la sua forza. Dubitare di tutto e tutti non come cautela ma come naturale necessità. Non illudersi, mai. Non credere ad altro che alla cruda verità. Non subire il fascino dell’inganno, lo splendore delle apparenze pareva un rifugio contro la delusione. La saggezza dello scetticismo…diceva. Non ci sono persone irreprensibili, non esistono valori incrollabili, non c’è morale che non ceda a lusinghe. E non ci sono cuori incapaci di concepire atrocità.

Eppure con lei negò l’evidenza. Con una tenacia cieca e sorda. Con un’ostinazione quasi incomprensibile. Perse ogni cinismo e ogni sana lucidità. Come a difesa dell’unico appiglio che lo legasse alla vita, all’amore, al sogno, alla purezza. Come per un disperato bisogno di smentirsi per non morire dentro.

O, come lei ancora crede, per lo stupido orgoglio di chi si crede invulnerabile.

Il guardone aveva perso di vista il tesoro delle favole e non le leggeva più, da troppo tempo forse. Attorcigliato sulla sua sicurezza non aveva dato di sé altro che la propria arrogante tracotanza. Raccoglieva ora il disprezzo con il quale aveva giudicato l’umanità.

Urlava che non era quella la sua natura, che la colpa era della malattia del mondo, che era punito da ciò che era diventato a causa dello spirito cattivo degli uomini…Non era lui a meritarsi quel perverso scherzo del destino, diceva.

Ma lei non l’ascoltava più.